Seleziona una pagina

Riportiamo l’articolo di Cristina Marrone pubblicato su Corriere.it con l’intervista a Davide Comazzi sul fenomeno degli hikikomori, in crescita tra gli adolescenti italiani.

 

Si chiamano hikikomori, sono gli adolescenti che rifiutano il mondo e si chiudono in camera senza più volerne uscire per mesi o addirittura anni. Ma è soltanto il nome a essere giapponese, perché il fenomeno, nato nel Paese del Sol Levante nella metà degli Ottanta, è da tempo in crescita anche nel nostro Paese. «I ragazzi vittime del ritiro sociale non vanno a scuola, stanno sempre al computer, non partecipano a nessuna attività sociale» spiega Davide Comazzi, psicoterapeuta, coordinatore del consultorio gratuito del centro milanese “Il Minotauro”, che si occupa da molto tempo di disagio adolescenziale. I primi casi da noi sono stati diagnosticati nel 2007 e da allora i numeri aumentano anno dopo anno. «Non sappiamo con precisione quanti siano i giovani italiani si sono “ritirati”, le nostre stime parlano di 100 mila casi. La maggior parte sono maschi, hanno 15-16 anni, ma l’età di esordio si è ultimamente abbassata e sono coinvolti anche ragazzi delle scuole medie» precisa l’esperto, autore insieme ad Antonio Piotti e Roberta Spiniello del libro “Il corpo in una stanza” (Franco Angeli, 2015), indagine sugli hikikomori italiani. È facile confondere il dramma del ritiro sociale con la dipendenza o la depressione, perché molti aspetti sono comuni. Ma questi ragazzi in realtà, se sono privati di Internet, fanno altro, sempre nella loro stanza. «Di solito chi è depresso si sente triste, piange, non riesce a relazionarsi. Invece negli hikikomori — chiarisce Comazzi — il sentimento prevalente è la vergogna, l’incapacità di reggere il peso dello sguardo dei coetanei. Questi ragazzi possono sembrare lazzaroni o incapaci di affrontare la frustrazione delle scuole superiori, in realtà si sentono sempre in pericolo. Le regole sono cambiate e improvvisamente non devono più fare i “bravi bambini”. Si ritrovano con un corpo cresciuto e devono essere belli, forti, capaci di conquistare una ragazza. Ma non si sentono all’altezza e sperimentano un sentimento di mortificazione. Temono la competizione, il rifiuto. I primi sintomi del ritiro sociale sono fisici: soffrono di mal di pancia, cominciano a restare a casa e a un certo punto non escono più».

L’identikit degli adolescenti a rischio

Ma chi sono gli adolescenti a rischio? Si può facilmente cadere nell’errore di credere che siano solo ex bambini viziati e non abituati alle frustrazioni. «Non è così — precisa l’esperto — non sempre alle spalle dei ritirati sociali ci sono genitori che le danno tutte vinte. Piuttosto, invece, questi ragazzi crescono spesso in un clima di alte aspettative, perché non di rado sono anche talentuosi. Tutti si attendono grandi cose da loro, che però non si sentono all’altezza. Così alcuni chiudono la partita molto presto: abituati ad andare bene si ritrovano a non funzionare e allora, per vergogna, si rifugiano in una stanza». Posti di fronte alle comuni sfide della crescita scelgono di evitare il mondo esterno e si autorecludono nella propria camera, dove i contatti sono limitati all’universo virtuale, con i videogiochi e i social network. Tagliati i ponti con il mondo che sta fuori, gli hikikomori si rifugiano in un universo parallelo attraverso la Rete, grazie alla quale è possibile costruire legami senza mettere in gioco la propria fisicità: su Internet è tutto virtuale, nessuno si aspetta nulla ed è facile crearsi una vita fuori dalla vita. Ma la Rete, pur messa sotto accusa, può talvolta rappresentare anche la chiave che permette ai “ritirati” di tornare nel mondo, quello reale, di restare in contatto con i coetanei.

La Rete

«Tanto più questi ragazzi si vergognano da un punto di vista virile, tanto più si allenano online e diventano bravissimi nei videogiochi di competizione» sottolinea Comazzi. «Con l’allenamento in Rete inizia una sorta di riabilitazione. Iniziano in modalità offline poi, acquisendo sicurezza compaiono online e lì tornano a creare il gruppo dei maschi rigorosamente virtuale, dove riescono a farsi accettare e talvolta anche a diventare leader. Si addestrano ad assumere codici maschili, qualcuno si crea anche una mini palestra in casa. I partecipanti a questi gruppi decidono magari poi di incontrarsi all’esterno e inizia così la rinascita». Naturalmente è sempre una questione di misura e gli adulti devono vigilare e accettare il ritiro come una fase transitoria, senza forzare mai i tempi. Il ragazzo non va costretto a uscire se non si sente pronto, perché vivrebbe un’esperienza di mortificazione troppo forte. In famiglia l’aiuto principale più che dai genitori arriva dai fratelli, che non vedono “l’isolato” come una persona male. «Ricordo il caso di un adolescente ritirato — racconta Comazzi —. I genitori erano angosciati. Dopo un percorso terapeutico che ha coinvolto la famiglia, un giorno la sorella lo ha invitato ad uscire con lei e il fidanzato per mangiare una pizza. Evidentemente si sentiva pronto, ed ha lasciato la sua camera. E quel giorno ha ricominciato a vivere».