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Condividiamo l’intervista di Elisabetta Andreis a Matteo Lancini per corriere.it

«Descriverli come ragazzi immaturi che non si rendono conto delle conseguenze delle loro azioni è l’opposto di ciò che dovremmo fare». Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta esperto dell’età evolutiva, presidente della Fondazione Minotauro, riflette sui ragazzi che hanno teso «per gioco» un cavo d’acciaio, da un lato all’altro della strada, in viale Toscana.

E la percezione del pericolo?
«Il pericolo è ciò che cercano: li eccita perché può servire per ottenere una cosa molto concreta, la visibilità».

Ma in questo caso parliamo di adulti…
«C’è una ricerca spasmodica di popolarità in chiave identitaria. Senza quella, oggi, non sei niente. Sempre più giovani adulti arrivano ai servizi: molto tristi o molto arrabbiati, con poco o niente da perdere, con una profonda crisi identitaria. Molti esprimono il disagio con ansia o attacchi al proprio corpo, altri attaccano violentemente gli altri».

Fatti come questi non sono «bravate».
«Colpisce la premeditazione, lo sforzo organizzativo. Il cavo era ben teso. E al centro dell’obiettivo, come in un film, la strada ad elevata percorrenza. Solo per un colpo di fortuna non si è verificata la tragedia, ma scommetterei che quanto poteva succedere sarebbe stato filmato».

Azioni per la visibilità, senza limiti?
«Negli ultimi anni non ho mai visto un caso di cronaca con ragazzi tra i 12 e i 24 anni in cui il telefonino non fosse al centro della scena, in un piano più o meno consapevole di conquista d’immagine e visibilità. Le scene vengono riproposte sui social all’infinito. C’è l’ossessivo bisogno di vivere nella mente dell’altro, sempre presenti e sempre pensati».