La serie televisiva Adolescence ha avuto un grandissimo successo. Il primo ministro britannico Keir Starmer è arrivato a proporre che sia trasmessa nelle scuole, lasciando così intendere che la visione di questa storia possa avere un valore educativo. Che cosa può insegnare questa serie non solo agli spettatori adulti, ma anche ai ragazzi? In che senso il racconto dell’omicidio commesso da un giovanissimo adolescente può essere esemplare? La vicenda non è certamente edificante, perché è la storia di un brutale omicidio. Jamie, il protagonista della serie, che ha 13 anni, è un ragazzino dall’aria mite, che frequenta regolarmente la scuola ed è figlio di una famiglia “normale”. Nessuno, tanto meno i suoi genitori, può credere che sia l’autore del brutale omicidio di una compagna.
Una delle cose che più colpiscono in questa vicenda è proprio l’idea che anche gli adolescenti che appaiono più inermi e innocenti possano essere capaci di una violenza inaudita e che un ragazzino da poco entrato nella pubertà possa uccidere una coetanea senza motivo, se non un disturbo nella sua nascente mascolinità.
La fiction è girata con una tecnica particolare, una ripresa continua, che ne accentua l’aspetto realistico, portandoci a credere in modo convincente di trovarci davvero di fronte a uno specchio della realtà, ma come di fronte a ogni narrazione non possiamo evitare di chiederci: qual è l’insegnamento che possiamo ricavare da Adolescence, la sua morale?
Un primo effetto della visione di questa drammatica vicenda è di essere portati a credere non solo che i nuovi adolescenti siano sempre più violenti, capaci di comportamenti violenti immotivati, ma che vi sia anche la tendenza a una preoccupante anticipazione dei comportamenti antisociali, già a partire dalla preadolescenza. Jamie, che è arrestato con un impressionante dispiegamento di agenti armati, in realtà è solo tredicenne, un’età che in Italia non lo renderebbe nemmeno imputabile.
L’anticipazione dell’età imputabile, che ora in Italia è fissata a quattordici anni, è oggetto di un dibattito ricorrente e sono stati presentati negli scorsi anni diversi disegni di legge che avrebbero voluto abbassare a tredici o dodici anni l’età in cui un minore può essere processato per un reato. Il presupposto di questo orientamento è che la precoce maturazione puberale, un fenomeno rilevante negli ultimi decenni, abbia comportato un’anticipazione generale dei comportamenti tipici degli adolescenti, tra cui quelli trasgressivi e violenti. In realtà, i dati sullo sviluppo degli adolescenti e dei giovani nel mondo occidentale non rilevano tanto una fretta di crescere, quanto il problema opposto: un rallentamento e una progressiva posticipazione dell’ingresso nell’età adulta.
Un altro interrogativo inevitabilmente suscitato dalla storia è l’allarme sempre più diffuso sui reati minorili, la cui più evidente dimostrazione è la grande attenzione mediatica che in Italia è dedicata alle “baby gang”. Ma qual è la realtà dei reati degli adolescenti? È davvero così preoccupante?
Negli ultimi decenni i reati minorili, che sono soprattutto di tipo appropriativo, si sono ridotti in tutto il mondo occidentale. In Italia, in particolare, c’è stata una costante diminuzione dei reati dal 2007, con un forte calo durante la pandemia, anche se c’è poi stato un forte rimbalzo nel 2021 e 2022, fino a tornare ai valori del 2015, seguito da una nuova tendenza al ribasso nel 2023. I reati più gravi e molto violenti, come gli omicidi, i tentati omicidi o le violenze sessuali non sono in aumento, mentre negli ultimi anni sono cresciuti soprattutto i reati violenti di strada, come le rapine in pubblica via (una tendenza che si era manifestata già prima della pandemia e che spiega i riferimenti alle baby gang). A questo andamento contribuiscono soprattutto i minori stranieri, sia quelli non accompagnati, il cui numero è notevolmente cresciuto in questi ultimi anni, sia quelli di seconda generazione. I dati Istat confermano un significativo incremento della povertà in Italia, soprattutto nei nuclei famigliari composti da stranieri, un dato che porta a sottolineare la correlazione tra disagio socioeconomico e reati minorili. Sono soprattutto questi ragazzi, quindi, che hanno fretta di crescere, che non hanno risorse per costruire un futuro e un’identità sociale di valore, che possono essere tentati da un percorso deviante.
La famiglia del protagonista di Adolescence, invece, non è socialmente o economicamente svantaggiata e anche per questo i genitori angosciosamente si chiedono come sia potuto succedere che loro figlio, senza evidenti motivi di disagio, si possa essere inspiegabilmente trasformato in un assassino. L’ultima puntata si chiude su questo interrogativo che rimbalza tra padre e madre, che si rivolgono soprattutto il rimprovero di non essersi accorti di niente, lasciando che il figlio si inoltrasse nel pericoloso mondo parallelo di internet, proprio mentre lo immaginavano al sicuro nella sua cameretta.
Anche questo riferimento al pericolo dei social è un tema al centro del dibattito educativo attuale, tanto che sempre più si discute dell’opportunità di limitarne l’uso per gli adolescenti. Ma qual è l’influenza di internet sui reati minorili? I dati di ricerca raccolti negli ultimi anni indicano che tra gli adolescenti sono aumentati soprattutto i disturbi internalizzanti, cioè ansia, depressione e ritiro sociale, più di quelli esternalizzanti, come i comportamenti trasgressivi e violenti. Un’ipotesi è che, paradossalmente, proprio la riduzione dei momenti liberi di aggregazione di gruppo (il tempo passato con gli amici senza il controllo degli adulti) e l’uso della rete stiano contribuendo a creare una “generazione ansiosa”, più che violenta, in un pericoloso rimando speculare tra ansie degli adulti e ansie dei giovani.
Jamie non è certo un ragazzo antisociale, come quelli che abitualmente sono autori di furti, atti vandalici, spaccio o rapine e che hanno come vittime soprattutto altri coetanei maschi. È piuttosto un ragazzo ritirato, che a prima vista potrebbe apparire timido e proprio per questo molto lontano dai comportamenti violenti. Una puntata della serie è dedicata al colloquio durante la custodia cautelare tra lui e la psicologa, che ha il compito di accertare non la sua colpevolezza, ma la sua personalità in relazione all’accusa che gli è stata mossa. Durante questo colloquio Jamie alterna un atteggiamento timido, rispettoso e quasi infantile, a improvvisi momenti esplosivi, in cui emerge una rabbia che fatica a controllare. Al di là dei suoi atteggiamenti minacciosi, colpisce in particolare il cambio nel tono della voce, che in qualche momento sembra addirittura un urlo che viene da un altrove, come se provenisse da uno spaventoso “alien” nascosto dentro il corpo di un bambino. Tutti i preadolescenti vivono una dissociazione fisiologica nel processo di maturazione del loro corpo e della loro mente, tra il Sé infantile e il nuovo Sé adolescenziale, e tra gli altri indicatori di questa “doppia personalità” c’è il cambio di voce. In Jamie questa dissociazione è particolarmente inquietante.
La psicologa, nel colloquio condotto in un modo formalmente rispettoso, ma in realtà fastidiosamente intrusivo, sembra essere guidata dall’ipotesi che il reato possa essere ricondotto a una difesa del Sé maschile ideale, il frutto di un maschilismo “tossico”, che potrebbe avere le sue prime radici nel rapporto con la figura del padre, per essersi poi radicalizzato nella subcultura del gruppo di amici, fino ad essere rivestito dall’ideologia incel. Sarebbe così una sua originaria sensibilità all’umiliazione che avrebbe trovato una nuova realizzazione traumatica nell’incontro con la vittima fino a “far impazzire” Jamie nel momento dell’omicidio.
Il reato di cui è accusato, un femminicidio, non può non trovare una forte eco emotiva, anche perché risuona con i recenti e ricorrenti fatti di cronaca. Gli autori di femminicidi hanno fattori di rischio generalmente diversi da quelli che caratterizzano i profili antisociali. I tipici reati sessuali degli adolescenti sono violenze sessuali commesse in un piccolo gruppo di amici, normalmente con una vittima conosciuta, mentre sono più rari quelli individuali, più spesso legati a gravi disturbi psicopatologici. I femminicidi, invece, sono reati commessi individualmente, ma più da adulti o da giovani adulti che da adolescenti. Gli uomini che uccidono le donne spesso non hanno un disturbo psicopatologico conclamato e le loro vittime sono persone con cui avevano una relazione sentimentale anche stabile, mogli o ex mogli o fidanzate. La motivazione più frequente di questi reati rimanda all’abbandono: sono maschi dipendenti, che non tollerano il rifiuto della donna, la sua autonomia emotiva, prima ancora che sentimentale. Mentre in passato i delitti di gelosia hanno potuto trovare qualche comprensione nella cultura maschile, i femminicidi attuali sono unanimemente condannati perché non sono visti come l’espressione della forza di un maschio che difende il proprio onore, ma come il sintomo della sua debolezza infantile. La debolezza dei preadolescenti maschi, che fisiologicamente sono più immaturi di qualche anno delle loro coetanee, porta spesso il gruppo dei maschi a coalizzarsi in difesa dell’identità maschile. Una classica interpretazione psicoanalitica di questa dinamica è che nella dipendenza amorosa dalla femmina il maschio senta l’eco della passata dipendenza dalla madre, un rischio regressivo da cui la spinta allo sviluppo lo porta a difendersi.
Adolescence è una storia davvero avvincente, più per la dinamica psicologica dei protagonisti che per i fatti, che nelle scene restano sullo sfondo, appena accennati e volutamente mai chiariti fino in fondo. È inevitabile che lo spettatore si interroghi, come fanno i genitori, sulle ragioni di una violenza tanto più feroce quanto più apparentemente immotivata, sulla colpa del protagonista, su eventuali complicità degli amici e sul ruolo della cultura giovanile attuale.
Anche il libro Cuore di Edmondo De Amicis, più di un secolo fa, parlava di tredicenni e raccontava storie esemplari, che per anni e anni sono state lette nelle scuole: il piccolo patriota padovano, la piccola vedetta lombarda, il tamburino sardo, l’infermiere di Tata, e tanti altri piccoli eroi, tutti pronti al sacrificio per il bene dei genitori o della patria. Erano storie “edificanti” di bravi ragazzi, certo eccezionali, ma comunque eroi positivi, a differenza dall’antieroe protagonista di Adolescence. Oggi i protagonisti di Cuore ci sembrano fuori tempo, improponibili per i ragazzi della generazione internet, ma cercare di trarre un insegnamento dalla visione a scuola di storie come quella raccontata in Adolescence potrebbe non essere una soluzione, portando a pensare con sempre maggiore angoscia ai nuovi adolescenti come a esseri sempre più alieni e pericolosi. Davvero per educarli non possiamo fare altro se non raccontare agli adolescenti quanto possono essere cattivi, mettendoli in guardia da loro stessi e dal loro mondo? Gli adulti oggi non pensano di poter educare i giovani proponendo degli ideali, ma solo attraverso la trasmissione delle loro paure, rimandando ai ragazzi l’immagine terrificante dell’alieno che possono diventare appena si staccano dalla dipendenza dei genitori. Se non vogliamo che il codice maschile demonizzato torni a mostrare un volto feroce, abbiamo soprattutto bisogno di costruire nuovi ideali maschili, positivi e credibili.