Condividiamo l’editoriale scritto da Matteo Lancini per la Stampa (13 Maggio 2025)
I giovani vogliono partecipare, ma la politica parla solo agli adulti
Matteo Lancini
Rispetto alle generazioni precedenti i ragazzi e le ragazze di oggi rispondono in modo più autentico e sincero alla chiamata da parte degli adulti. La trasgressione e l’opposizione al potere adulto sono scomparsi da tempo, sostituiti dalla disperata ricerca di visibilità e di spazi relazionali dove poter essere valorizzati e apprezzati, sperimentando il proprio talento e la propria capacità di contribuire alla realizzazione di un progetto. Questo è testimoniato dal successo del volontariato giovanile, laico e cattolico, in condizioni di normalità o in situazioni emergenziali. Numerosi sono gli esempi: dai festival di approfondimento culturale alle tragiche alluvioni, dai catering dei convegni gestiti dagli studenti delle scuole alberghiere alle associazioni giovanili nate a seguito di un fatto drammatico, al fine di sensibilizzare la popolazione sul tema. In questo quadro, l’ipotesi di una leva volontaria di alcuni mesi potrebbe rappresentare un ulteriore possibilità per i giovani del nostro Paese. Una iniziativa che, riporta la cronaca, dovrebbe riguardare una moderna forma di addestramento legata alla protezione civile e alla difesa del territorio. L’unica perplessità risiede nel riferimento alla parola leva che, inevitabilmente, richiama alla mente il servizio militare obbligatorio, abolito venti anni addietro. La disturbante sensazione è che ogni qualvolta la politica intraprenda iniziative rivolte ai giovani, stia in realtà parlando al popolo adulto dei votanti, utilizzando slogan e affermando convincimenti che confermano quanto la dissociazione sia la cifra distintiva di questi tempi e di come conti più la comunicazione che il contenuto. Dagli slogan sulla famiglia tradizionale da parte di chi vive in configurazioni genitoriali ed educative più che flessibili, alla difesa dell’autorevolezza del ruolo docente, libero di bocciare e punire severamente lo studente insolente ma obbligato a condividere preventivamente con i genitori il materiale didattico e le modalità di svolgimento di un’eventuale educazione affettiva e sessuale. Per non parlare delle iniziative bipartisan di chi vorrebbe vietare smartphone e social ai ragazzi, mentre vive perennemente connesso da genitore e parlamentare. Del resto sarebbe troppo impopolare obbligare la scuola italiana ad abolire i gruppi whatsapp dei genitori e a educare gli studenti a vivere in una società iperconnessa, invitandoli a fare le prove d’esame di maturità utilizzando internet e l’intelligenza artificiale, al fine di sviluppare un pensiero critico e imparare a fare le domande giuste, cioè ad acquisire le competenze necessarie per vivere il presente e abitare il futuro. Sul sito governativo delle politiche giovanili è riportata questa descrizione del Servizio civile universale: “è la scelta volontaria di dedicare alcuni mesi della propria vita al servizio di difesa, non armata e non violenta, della Patria, all’educazione, alla pace tra i popoli e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica italiana, attraverso azioni per la comunità e per il territorio”. Esiste già e non si chiama né leva né naja. Sarebbe auspicabile che molti adulti, tra cui diversi politici, si impegnassero a svolgere un periodo di prova per verificare se sono in grado di assolvere questa funzione.