Condividiamo l’articolo scritto da Sabrina Camonchia per La Repubblica con intervista a Matteo Lancini.
Lo psicoterapeuta Matteo Lancini a Repubblica delle Idee: “Ai giovani dobbiamo dare di più”
di Sabrina Camonchia
Per capire le loro difficoltà e solitudini bisogna considerare la fragilità degli adulti, che spesso sono inadeguati al compito educativo. La tesi dello psicologo che sarà tra gli ospiti del nosto festival a Bologna, dal 13 al 15 giugno
«I figli vanno bene finché sono contenti e vanno a fare il nuoto che, come si sente sempre dire, è uno sport completo. Ma quando devono esprimere la tristezza, la paura e la rabbia, noi chiediamo loro di non provarle». Perché? «Perché sono emozioni che ci disturbano e che non siamo in grado di legittimare». Lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini sarà ospite della Repubblica delle Idee sabato 14 giugno. Il titolo del suo incontro, moderato da Laura Pertici e in dialogo con la scrittrice Elena Stancanelli, è Chiamami adolescente ed echeggia quello del suo nuovo saggio Chiamami adulto. Come stare in relazione con gli adolescenti (Raffaello Cortina Editore): un viaggio nel rapporto tra gli adulti e le nuove generazioni, tra desiderio e incapacità di comprendersi, dove a sorpresa siamo noi “grandi”, in primo luogo, a dover comprendere la necessità di “educarci” a nuove responsabilità, educative e non solo, nei confronti di chi viene dopo di noi.
Lei insiste molto sul concetto di relazione, perché?
«Viviamo in un mondo sempre più privo di relazioni autentiche. Gli adolescenti di oggi si rifugiano in internet per ridurre la solitudine che provano nel non sentire accanto papà, mamma, insegnanti, educatori. È facile sentirsi isolati, ma gli adulti non sono in grado di capire questa urgenza. Quasi sempre il disagio adolescenziale è accompagnato dalla sensazione di sentirsi soli in mezzo agli altri».
Eppure, sembra che i genitori di oggi riempiano i figli attenzioni.
«Non è vero che siamo nella società del surplus materno, non è vero che i nostri figli hanno troppo di tutto: è certamente vero che li ascoltiamo più che in passato, ma non permettiamo loro di esprimere ciò che ci costringerebbe a un cambio di programma. Siamo troppo impegnati a lavorare, a prenderci cura di noi stessi. Allora ci inventiamo che il loro malessere potrebbe dipendere dal fatto che li abbiamo amati troppo, diamo la colpa ai social network. Invece è un problema di mancata capacità di legittimare le emozioni che ci fanno più paura».
Sono gli adulti a essere inadeguati?
«Per capire le difficoltà dei giovani bisogna partire dalla fragilità degli adulti. Un conto è sostenere che i ragazzi oggi non sono abituati alle frustrazioni. Altra cosa è dire che ci proteggiamo noi stessi chiedendo agli adolescenti di non provare quelle emozioni che ci forzerebbero a indagare come mai un figlio ha bisogno d’altro. Serve una nuova postura per gli adulti, più responsabile e meno egoista».
Si accusano i social network: torto o ragione?
«Colmano un vuoto, sono un rifugio. Dare la responsabilità ai social network è un modo per gli adulti di lavarsi la coscienza. Del resto, viviamo nella società del social enjoy dell’adulto, del va tutto bene. Il problema è sempre altrove: mai nella famiglia, mai nella scuola. Siamo noi per primi a dover mettere in atto una disconnessione, altrimenti non c’è più distinzione fra vita reale e vita virtuale. La mia non è un’accusa contro la famiglia e la scuola, ma piuttosto un invito ad assumerci davvero nuove responsabilità verso le future generazioni».