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Condividiamo l’intervista di Riccardo Bonacina al prof. Gustavo Pietropolli Charmet per il sito vita.it sui cambiamenti del modo di sentire gli affetti da parte degli adolescenti oggi.

Gustavo Pietropolli Charmet è figura magistrale della psicoterapia italiana. Un intellettuale sempre presente sul campo perché ha ben chiaro che la teoria è riflessione sull’esperienza oppure vana chiacchiera. Nel 1985, con l’appoggio di Franco Fornari fonda l’istituto Il Minotauro che tra i servizi offre assistenza psicologica a ragazzi difficili, gratuita per le famiglie con poco reddito, servizio tuttora attivo anche grazie a donazioni private in via Omboni, vicino Porta Venezia e viale Buenos Aires a Milano. Pochi mesi fa Pietropolli Charmet ci ha regalato un libro che ho trovato splendido nella sua capacità di leggere l’attualità confusa e difficile che stiamo attraversando, “Il motore del mondo. Come sono cambiati i sentimenti” (edizioni Solferino), una autobiografia umana e professionale davvero appassionante. Così, Charmet si definisce nelle prime pagine del libro «Sono psicoterapeuta di giovani; ho discusso delle ragioni del loro dolore con loro e i loro genitori e, così facendo, sono diventato abbastanza esperto di sentimenti, perché è ciò di cui ci si deve interessare quando si tenta di mitigare la sofferenza o di capire le motivazioni di condotte apparentemente insensate e pericolose».

Per sintonizzarsi con le richieste dei ragazzi e mettersi al loro servizio però Charmet ha dovuto però rompere con alcuni dogmi della psicoterapia, come quello che assegnava al passato, meglio se misterioso e violento, la causa di ogni altro evento e relazione. La spinta a rompere con questo dogma arriva dai ragazzi, scrive «mi ha molto aiutato la motivazione dei ragazzi ad avere a che fare con un adulto capace, per quanto possibile, di interessarsi davvero a ciò che succedeva loro in quel momento».

È così che Pietropolli Charmet comincia ad occuparsi del mistero del presente che diventa una vera e propria chiave anche terapeutica suggerendo un metodo nuovo di relazione con gli adolescenti. Non fuggire mai dal mistero del presente, i ragazzi chiedono che adulti si interessino del loro presente più che del loro passato o al passato della loro famiglia

Charmet: Gli adulti che vanno da uno psicoterapeuta si predispongano a esplorare il loro passato e la loro infanzia nella credenza che quello che è successo in passato è la ragione del loro dolore, della loro sofferenza, e quindi si predispongono a ricordare.

Agli adolescenti, invece, il passato interessa davvero molto poco ed è quasi umiliante per loro sentir dire da un adulto, ritenuto competente, che il bambino che sono stati sia il regista delle loro peripezie o dei loro insuccessi. Preferiscono di gran lunga pensare che il loro problema nasce adesso, nasce nell’immediatezza dei fatti e nasce soprattutto dalla percezione che esista un tempo detto futuro che non è remoto, quello della pensione o del lavoro a tempo indeterminato, ma quello che succederà stasera o tra due giorni. Sapere se avremo delle buone relazioni con i coetanei, se riuscirò a fare una coppia o riuscire a divertirsi vincendo un certo sentimento di solitudine e noia che è poi lo sfondo sentimentale, umorale dei nostri adolescenti.. Esplorare il presente significa capire quali sono, non l’eredità dell’infanzia o dei suoi traumi, l’adolescenza ha una sua radicale specificità, è una fase della vita unica in cui nascono problemi nuovi e risorse nuove, cambia il corpo, i si deve confrontare con l’esperienza del desiderio del bisogno dell’altro con la paura di non essere all’altezza, e quindi queste paure sono legate a quello che non succede, che non si riesce a far succedere o che succeder domani o post domani. Il presente per l’adolescente è abitato da un futuro molto prossimo.

Per l’adolescente il vero trauma è il futuro, il futuro che è nel presente, cioè la crescita, l’adolescenza. Allora ascoltiamola, cerchiamo di capirla, mica roba da poco, conquiste, scoperte, amori, paure.

È come se Giuseppe Conte avesse detto a tutta una generazione di adolescenti che sono in castigo, che se ne devono stare a casa. Colpa vostra, viene detto, se uscite e poi i nonni muoiono è colpa vostra.

Gustavo Pietropolli Charmet

Il mistero presente, di questo presente complesso della pandemia come influenzerà gli adolescenti?

Charmet: Il presente è oggi per loro il furto della scuola, del territorio, dell’amicizia, dello sport, dell’incontro e della libertà, ovvero, la somma di tutti castighi tradizionali: “allora stasera non esci”, “allora te ne stai a casa e non vai al bar”, “No il viaggio non lo puoi fare”, ecc, ecc. È come se Giuseppe Conte avesse detto a tutta una generazione di adolescenti che sono in castigo, che se ne devono stare a casa. Colpa vostra, viene detto, se uscite e poi i nonni muoiono è colpa vostra.

Loro hanno però un’arma segreta che è quella dei social, la connessione virtuale che scavalca parte di questi divieti, il furto della presenza reale e della possibilità di abitare e agire in un territorio. Una connessione virtuale che proprio a causa delle privazioni si sovraccarica di affetti, di intenzioni, di vicinanze. I ragazzi con cui ho parlato mi hanno detto che in fondo il primo lockdown non è stato durissimo per loro sia per la novità eccezionale, sia perché si sono trovati una sorta di vacanza-campeggio con i genitori (dividere gli spazi, organizzarsi, dividersi i compiti in casa, ecc.)

Questo secondo lockdown, e le restrizioni di questo inverno, è invece più problematico e ho l’impressione, ne ho già qualche segnale, che i ragazzi questa volta chiedono spiegazioni, hanno proposte da fare che spesso sono proteste. In primavera non si è sentita una voce autorevole che abbia detto qualcosa di sensato ai ragazzi, eppure loro sono stati buoni e hanno collaborato, adesso cominciano a lamentarsi. cominciano a protestare almeno per la chiusura delle scuole.

I ragazzi del passato erano aiutati a sperare ora chi insegna ai ragazzi a sperare, chi insegna loro il futuro, si chiede nel libro?

Charmet: Continua a strabiliarmi il fatto che tutta la scuola sia fondata sull’insegnamento di ciò che è successo nel passato, di quello che gli scienziati, gli artisti, gli scrittori hanno detto e fatto in passato. Bisognerebbe cominciare a insegnare il futuro, non il futuro teorico ma il futuro reale, quello del pianeta, dell’organizzazione della società, del lavoro, della famiglia, delle comunicazioni. Il futuro dei giovani come sarà? Ecco questo oggi non si fa e credo dipenda dal fatto che le varie discipline hanno un vincolo etico e affettivo con la storia della loro disciplina che è come se impedisse loro di alzare la testa e guardare in avanti. Stiamo dando dando ai ragazzi una formazione che li aiuti a prendere decisioni responsabili? La gerontocrazia al potere mi sembra abbia davvero organizzato una congiura a danno dei giovani, dipingendo loro un futuro lugubre non solo perché non ci saranno le pensioni, l’aria sarà appestata, e altro ancora, ma perché non riusciranno a realizzare e a realizzarsi di più di quanto avevano fatto i padri e i nonni, le madri e le nonne. Quest’idea che i ragazzi di oggi siano la generazione più sfigata di tutta la storia dell’umanità non è una bella informazione da passare, perché ai giovani quando gli freghi il futuro alla fine si incazzano. La speranza oggi è diventata una virtù molto individuale e la possibilità di imbattersi in ragazzi disperati è elevata. Perdere la speranza in adolescenza è molto grave e le conseguenze molto dolorose, per i giovani, per i loro genitori, e per l’intera società. Guardi, la percezione della morte del futuro, della sua assenza è la povertà peggiore possa capitare!

Bisognerebbe dar vita a una scuola di speranza, invece cosa sperano gli adulti oggi? Io vedo molto pessimismo esagerato e un diffuso sentimento di delusione rabbiosa.

Bisognerebbe dar vita a una scuola di speranza

Gustavo Pietropolli Charmet

Lei parla a un certo punto di solitudine priva di sofferenza dei ragazzi. Una definizione che mi ha molto colpito.

Charmet: La sofferenza del passato era sofferenza amorosa, amore adolescenziale, il dolore della solitudine. Un sentimento che deriva anche dal fatto che crescere significa rompere i legami di sicurezza e appartenenza e trovarsi soli sul pianeta e in questo momento non è offerta una qualità di relazione che regali senso alla solitudine come momento di creatività, di incontro, di riflessione, di attesa e scoperta. Quindi non c’è il dolore del conflitto col padre (il padre etico è evaporato da qualche decennio), non c’è neppure il sentimento di colpa, c’è spesso la malinconia di verificare che le grandi aspettative ideali del narcisismo non riescono ad essere soddisfatte. Un mesto dolore, un po’ umiliato nel senso che non si riesce ad essere ascoltati, visti, popolari, e questo crea una solitudine che a volte è rabbiosa e rumorosa ma a volte è silenziosa. Vede, la posizione concordemente assunta dai genitori nel corso degli ultimi trent’anni è che il dolore che si può somministrare a scopo educativo deve tendere a zero. Questa nuova utopia educativa cambia radicalmente la simbolizzazione de bambini che non sanno più dell’esistenza del delitto e del castigo. E questo rende più difficile ai ragazzi di oggi nascere come soggetti.

Anche per questo lei scrive che il tempo dell’attesa tipico dell’adolescenza diventa noia in questi ragazzi. Come se il desiderio si fosse corrotto o svuotato

Charmet: I social vengono in soccorso con una presenza ma senza desiderio. Il tempo che una volto era tempo melanconico di attesa e anche tempo di noia ma a cui si trovava soluzioni, passione, amore, guerra. La noia i bambini dovevano affrontarla e risolverla loro e trovare un’alternativa alla noia era salvifico .Oggi è tutto molto più complicato e si sta in una situazione in cui non si può né fare la guerra né fare l’amore, tutto è già dato quasi nulla è conquistato e quindi ci si annoia mortalmente. Dalla scuola materna sino alla laurea è tutto un dritto senza grosse perturbazioni e quindi l’attesa che si prolunga può essere estenuante e alcuni smettono di rincorrere il futuro e rimangono lì senza più cercare niente.

Lei scrive che “Consumare l’odio insieme ai suoi riti, odiare insieme è oggi l’alternativa al pregare insieme”. Considerazione impressionante.

Charmet: L’odio è il virus più pericoloso che ci sia. L’odio non nasce nella solitudine ma è un sentire collettivo capace di rinserrare legami intorno a una parola d’ordine, un gagliardetto, un capro espiatorio. L’odio non è una cosa nuova ed è forse una componente di ogni processo di civilizzazione, però io credo che oggi ci sia una quantità d’odio in aumento anche per la diffusione di questo sentimento sui social che per ragioni a me misteriose è come se avesse un inconscio propulsivo i sentimenti peggiori. I social danno parola e potere a chi era relegato nel silenzio e quindi si sentono cose che non erano udibili perché non esistevano sistemi per la loro propagazione. Mi sembra che il tema dell’odio sia importante perché l’odio non sta fermo ma promuove azioni e si massifica facilmente. L’odio ha una incredibile capacità di fare proseliti.

Lei avverte che la diffusione dell’odio sembra essere oggi l’espressione di una meticolosa sobillazione di marca sociopolitica. I sentimenti, quindi, come recita il titolo del suo libro, sono davvero il motore del mondo e lo hanno capito di più i sobillatori di altri..

Charmet: Proprio così (e ride).

 

Fonte: vita.it