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Condividiamo l’articolo di Monica Coviello con l’intervista a Matteo Lancini per Vanity Fair.

Che fosse per un fidanzatino conteso o per i voti a scuola, poco importa: la furia di due ragazzine di 13 anni di Castelbelforte, in provincia di Mantova, si è scatenata contro una coetanea che, secondo i medici, è viva solo per un caso. Le due, forse, avevano pianificato l’aggressione da giorni: hanno attirato la compagna in un giardino pubblico e l’hanno assalita con pugni e lunghe forbici da cucina, colpendola alla testa, al volto e alle braccia. La vittima è in gravi condizioni, anche se non in pericolo di vita. Sempre ieri, a Trieste, una 14enne è stata ferita con un’arma da taglio da una coetanea durante un litigio, ed è stata ricoverata.

Che cosa sta succedendo ai teenager di oggi? Ne abbiano parlato con Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta e presidente della Fondazione Minotauro di Milano. «Non è che un tempo questi episodi non accadessero» ci spiega, «ma oggi c’è una più ampia cassa di risonanza mediatica che ci porta a sapere di questi casi. Anzi, rispetto al passato, i reati, in questa fascia di età, sono anche diminuiti. Tuttavia, colpisce la giovanissima età delle ragazzine e il fatto che provengano da famiglie apparentemente ordinarie, senza gravi problematiche o conflitti. Negli ultimi anni anche le femmine sono protagoniste di questi episodi di violenza, che una volta, al netto degli stereotipi, erano più frequenti fra i maschi».

Quali possono essere le ragioni di una violenza tanto feroce?
«Il problema è il silenzio comunicativo: i ragazzi non esprimono i loro disagi, che così sfuggono sia ai genitori, che agli insegnanti, che agli psicologi. Inoltre, l’appartenenza al gruppo della classe e dei coetanei è sempre più forte e orienta molto l’idea del successo o dell’insuccesso: lo sguardo dei compagni, che è sempre stato fondamentale, oggi è ancora più potente».

Quali sono le conseguenze della dissimulazione del disagio?
«Il disagio non espresso in parole si manifesta sotto forma di agito, come violenza contro se stessi (dai disturbi alimentari al ritiro sociale) o all’interno del gruppo (dall’invidia ai gesti aggressivi)».

E questa può essere la causa di tanta violenza?
«Il movente è un fattore che fa precipitare gli stati d’animo, e che nasconde dinamiche più complesse».

Quali sono?
«Oggi i genitori ascoltano i figli molto più di un tempo, ma sono fragili e incapaci di sentire che cosa hanno da dire davvero i ragazzi. Non si tratta affatto di incolpare le famiglie di queste ragazze: è un problema generalizzato. La società di oggi, individualista e competitiva, ha rimosso i conflitti evolutivi e i sentimenti disturbanti, rendendone impossibile l’elaborazione, e gli adulti non trattano mai, con i figli, i temi del conflitto e dell’insuccesso. I ragazzi, così, sentono di non essere accettati nelle proprie fragilità».

Perché i ragazzi non riescono a parlare davvero di sé con i genitori?
«Perché i genitori tendono a banalizzare e drammatizzare quello che gli viene detto dai ragazzi, tendono a parlare di sé e a porre la propria persona al centro della conversazione. In questo periodo storico si assiste a un’inversione di ruolo: sono i figli a conoscere meglio i genitori e gli insegnanti che non viceversa».

Ma se un ragazzo confidasse a un genitore di avere le stesse pulsioni violente verso un compagno, che cosa dovrebbe fare l’adulto?
«Invece di farlo tacere con uno sdegnato “Ma che stai dicendo?”, dovrebbe mettersi in ascolto, chiedergli che cosa ne pensa. Ma difficilmente un genitore lo fa, e così, il ragazzo, percependo l’adulto troppo angosciato di fronte ai suoi disagi, cerca di arrangiarsi da solo».

Invece, come dovrebbe accompagnarlo l’adulto nella gestione del suo disagio?
«Tutti cercano la ricetta perfetta per i figli, ma non ne esiste solo una. Un genitore competente deve prima di tutto sapere chi è il suo interlocutore, dunque chi è suo figlio, e deve avere la capacità di accettare il fatto che si tratta di un’altra persona, con la propria soggettività. Funziona così anche in cucina: per elaborare una ricetta, non si può prescindere dal rispetto e dalla conoscenza della materia prima».