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Condividiamo l’intervista di Chiara Daina a Tommaso Zanella per Il Corriere della Sera.

In adolescenza i ragazzi hanno il difficilissimo compito di costruire la propria identità tra profondi cambiamenti fisici e psicologici e attraverso il confronto costante con i coetanei. Ma durante il percorso di crescita si può entrare in crisi. Secondo un’indagine condotta dal Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto superiore di sanità (Iss), con il finanziamento e il sostegno del Dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri, quasi due milioni di adolescenti della Generazione Z (nati tra la fine degli Anni 90 e il 2010) sono a rischio di sviluppare una dipendenza comportamentale, da cibo (circa 1,1 milione di studenti delle scuole secondarie di I e II grado), videogiochi (circa 480mila) o social media (circa 99.600), associabile a depressione e ansia sociale (paura del giudizio degli altri), fino all’isolamento in casa per almeno sei mesi (quasi 66mila studenti, pari a oltre l’1,6%) nei casi più gravi. Inoltre, più di 2 ragazzi su 10 hanno fumato cannabis. E tra questi c’è una percentuale maggiore di fumatori, consumatori di alcol e ansiolitici, di chi pratica e riceve sexting, usa le app per modificare l’aspetto fisico (morphing) e aderisce alle social challenge (sfide estreme diffuse in rete). Lo studio ha preso in esame le risposte di oltre 8.700 studenti tra 11 e 17 anni, intervistati nell’autunno 2022. Quanto deve preoccupare lo scenario che emerge?

A rispondere è Tommaso Zanella, psicoterapeuta e vicepresidente della Fondazione Minotauro di Milano, che gestisce un centro clinico e una scuola di specializzazione in psicoterapia per l’adolescente e il giovane adulto: «Il concetto di dipendenza riferito all’età adolescenziale va utilizzato con cautela perché rischia di patologizzare precocemente alcuni comportamenti che possono essere transitori e avere un’altra natura, non necessariamente disfunzionale. Per esempio l’iperutilizzo dei giochi in rete può essere finalizzato a costruire legami e a migliorare competenze cognitive, senso di autoefficacia e autostima. Oggi la crescita dei nativi digitali passa anche attraverso internet. La dimensione vitale è sempre più «onlife», cioè il risultato delle interazioni tra realtà fisica e realtà virtuale. I genitori dovrebbero preoccuparsi non tanto di quante ore i figli trascorrono sul web ma di cosa ci fanno e quali sono i loro scopi. Tenendo presente che l’iperinvestimento nei videogiochi e nei social può riflettere un disagio e una sofferenza sottostanti».

In che modo scoprirlo? «Il genitore – risponde Zanella – deve cercare di farsi raccontare dal figlio come vive nel mondo online, se in rete gioca da solo o con altri, se questi sono amici già conosciuti o nuovi, se a scuola è stato bullizzato o ha preso brutti voti e magari si rifugia su internet per non pensare al suo dolore, e così via». Anche l’uso dei social network può essere ambivalente: «È problematico quando il ragazzo fa dipendere la stima che ha di sé solo dai like che ottiene e dai commenti degli utenti. Questo può spingerlo a postare foto con parti nude del proprio corpo e a partecipare alle social challenge». Lo psicoterapeuta invita gli adulti di riferimento a «essere di esempio con il loro comportamento, non postando selfie di continuo, con la fissa del filtro perfetto, e depotenziando il bisogno di visibilità e popolarità».

Nello studio dell’Iss la «dipendenza» più riscontrata negli adolescenti è quella da cibi ricchi di grassi e zuccheri, uno «strumento consolatorio per colmare un vuoto o un’insoddisfazione che vanno indagati», continua Zanella. In questi casi la soluzione «non è proibire i dolci o il computer e lo smartphone, l’atteggiamento punitivo potrebbe provocare reazioni violente verso se stessi, atti di autolesionismo e tentativi di suicidio come espressione estrema di dolore. Ciò che va fatto, invece, è la costruzione con l’adolescente di un’attività alternativa adatta a lui, che risponda a interessi e bisogni suoi e non del genitore, e fondata sulla relazione affettiva».

L’ascolto

La survey ha messo in luce una difficoltà comunicativa con i genitori da parte della maggior parte degli adolescenti che presentano comportamenti a rischio. «È fondamentale riconoscere e legittimare la tristezza e la frustrazione vissute dal figlio. Dedicare tempo all’ascolto dei suoi pensieri e interesse verso i suoi stati d’animo è cruciale per la sua educazione emotiva e per creare un rapporto di fiducia. Diversamente – conclude Zanella – l’adulto risulta un interlocutore inaffidabile, incapace di sentire e capire i sentimenti. In una società performativa come la nostra si tende a rimuovere il fallimento e il dolore rincorrendo la felicità e il successo a tutti i costi. Se, però, prima i genitori non insegnano ai figli a stare dentro le emozioni anche negative, e a gestirle, senza minimizzarle, questi faranno fatica a crescere in modo costruttivo».