Pubblichiamo un’interessante riflessione di Antonio Piotti sul fenomeno Blue Whale, al centro di allarmanti notizie di cronaca e di dibattiti culturali.
Cominciamo da un fatto che mi è accaduto un paio di mesi fa quando sono stato contattato via Skype da una giornalista russa che mi chiedeva se avessi mai sentito parlare di una balena blu. Io ne sapevo molto poco e tutte le mie conoscenze si basavano su un articolo di Repubblica comparso proprio in quel periodo. Comunque, quando mi hanno chiesto se temevo che potesse diffondersi anche in Italia, sono stato un facile profeta nell’immaginare che avrebbe prodotto disastri considerevoli e che qualche vita umana sarebbe stata messa a rischio.
Ma prima di parlare delle balene bisogna parlare dei suicidi dei ragazzi. Ce ne sono parecchi: negli Stati Uniti lo scorso anno il suicidio è stato la prima causa di morte fra gli adolescenti superando persino gli incidenti stradali. Anche in Russia la percentuale di giovani che si tolgono la vita sta crescendo. Nei paesi occidentali i tassi dei suicidi giovanili si sono stabilizzati dopo che, nei decenni scorsi, hanno visto una crescita costante. L’Italia è un paese abbastanza fortunato perché da noi la percentuale è più bassa che altrove, ma è vero che il suicidio è la seconda causa di morte per i giovani maschi. Per di più il fenomeno è sottostimato perché molte morti sospette (incidenti stradali, overdose) sono difficili da classificare. Infine sappiamo tutti che per ogni suicidio riuscito numerosi (l’OMS stima dieci a uno) sono i tentativi di suicidio e i suicidi mancati.
Di fronte a questa terribile ecatombe il silenzio è pressoché totale: nell’illusione che tacendo il fenomeno si contenga e si risolva da solo la questione del suicidio giovanile è continuamente elusa, per cui nelle scuole non esistono adeguati programmi di prevenzione, gli psicoterapeuti e gli psichiatri sono poco formati ad affrontare l’eventualità di un giovane paziente che dichiari di voler morire, non esistono strutture deputate a raccogliere le richieste di aiuto di questi ragazzi e, più in generale, la gente preferisce pensare al desiderio di morire come ad una ragazzata destinata a passare con l’età. Nella nostra esperienza al Minotauro abbiamo incontrato centinaia di ragazzi che avevano pensato alla morte volontaria, che si erano inflitti ferite, che avevano provato a porre fine alla loro esistenza.
Del suicidio non si parla: non si dice che molti ragazzi proprio in questo momento lo stanno meditando, che la loro meditazione procede da anni durante i quali il progetto di morte è stato coltivato nel segreto, e che alcuni di loro lo metteranno in atto quando un evento scatenante, un ostacolo insormontabile, si parerà dinnanzi a loro. Non si dice neppure che il suicidio ha uno strano potere di fascinazione rispetto al quale i ragazzi dovrebbero essere messi sull’avviso. La letteratura ha proposto un termine specifico per indicare questo contagio definendolo Effetto Werther. Sembra infatti che dopo la pubblicazione del romanzo di Goethe si sia verificato un incremento dei suicidi fra i giovani tedeschi, come se essi fossero affascinati dal romanzo e identificati col protagonista. In effetti parecchie ricerche successive mostrano che il suicidio può avere, quando è descritto in termini romantici, una misteriosa capacità di attrazione.
La vicenda della balena blu si inserisce in questo discorso: da qualche parte del mondo, in qualcuno di quegli anfratti del deep web, là dove alberga e si propaga il cinismo nichilista di chi vi partecipa, sono parecchi i luoghi nei quali si suggeriscono modalità suicidali più o meno efficaci da proporre a chiunque le voglia applicare: “La gente si suicida… non c’è nulla di male a facilitarli”. Può darsi che in Russia qualche elemento sia emerso dal mare del web più profondo e che, in questo modo, sia nata la storia della balena. Dei misteriosi curatori risponderebbero a tutti coloro che fossero attratti dall’idea del suicidio imponendo loro una serie di istruzioni – 50 azioni da compiersi in cinquanta giorni – l’ultima delle quali consisterebbe nel salire su un palazzo per gettarsi nel vuoto e così togliersi la vita.
Le istruzioni sono leggibili da chiunque e comprendono pratiche piuttosto eterogenee e bizzarre quali quelle di svegliarsi alle quattro e venti del mattino, di ascoltare musica terrificante, di passeggiare lungo i binari del treno, di porsi cavalcioni dinnanzi al vuoto. Se c’è una competenza psicologica del tutto volta al male essa va riscontrata nell’idea di indurre un’abitudine e di operare una sorta di assuefazione. Se ci si procurano dei tagli sul corpo si assume una certa tolleranza al dolore e, poiché è noto che la paura del dolore è uno dei maggiori deterrenti rispetto al suicidio, assuefare al dolore può togliere un’importante inibizione. Più ancora, il fatto di stabilire una sorta di contratto, di rafforzare la propria decisione mortifera attraverso una procedura standardizzata, rende più difficili i ripensamenti: quando uno comincia un gioco, sottoscrive l’impegno a portarlo a termine. Anche camminare sui binari o porsi a cavalcioni su un parapetto rende più praticabile l’azione che poi si dovrà veramente fare: si assapora l’attrazione della morte e ci si sente più familiari con essa. Infine, le sveglie notturne possono creare uno stato confusionale e una sensazione di disagio che si aggiunge alle problematiche personali delle vittime. La competenza psicologica si esaurisce qui: in una serie di suggestioni behavioriste delle quali diremmo che fortunatamente sono piuttosto rozze se non fosse che possono essere amplificate a dismisura dall’immaginario massmediale.
Prima però di vedere questo aspetto dobbiamo ancora occuparci della questione dei curatori.
I curatori, gli stalker che dovrebbero condurci per mano sul cammino della nostra morte, sono soggetti alquanto inafferrabili. Essi dovrebbero rispondere ai messaggi degli aspiranti suicidi, incoraggiarli, controllare che abbiano compiuto tutte le operazioni richieste dal gioco e persino minacciare di morte i loro famigliari qualora comparissero ripensamenti dell’ultimo minuto. In realtà l’unica evidenza a questo riguardo concerne un certo Filip Budeikin, chiamatosi in rete ‘Filip Volpe’, considerato uno degli ideatori di questo gioco. Budeikin, all’inizio, ha dichiarato di voler “ripulire la società da quegli scarti biologici che prima o poi si sarebbero suicidati lo stesso”. Successivamente, forse intimorito dai rischi di una condanna, ha ritrattato tutto sostenendo che i video erano montati, che le sollecitazioni non erano vere e che si trattava solamente di un gioco innocuo per attirare l’attenzione del web. La sua situazione rimane sotto indagine e il ragazzo è accusato di aver istigato quindici suicidi ma non sono state dimostrati fino ad ora legami di causa ed effetto tra il gioco e i suicidi. Risulta quindi difficile determinare se qualche curatore, se così accettiamo di chiamarlo, si sia effettivamente messo all’opera in Russia.
Qui da noi, almeno per ora, non vi è traccia di curatori identificati, mentre si moltiplicano le segnalazioni di ragazzi tratti in salvo proprio nel momento in cui stavano per compiere gesti riconducibili alle esercitazioni prodotte dalle varie tappe del gioco. L’enorme impatto massmediale del fenomeno ha dato una prova ulteriore degli effetti immaginari della globalizzazione e del suo significato paradossalmente attrattivo: persino coloro che hanno parlato della balena scongiurando i ragazzi dal farsene suggestionare, hanno dovuto rendersi conto che i messaggi volti alla saggezza non facevano altro che incrementare il fascino del suicidio e che più si condannava la balena più si produceva un effetto di contagio.
Rispetto ai fatti, i commenti hanno dato vita a due tipi di interpretazioni. Da un lato, ci sono i realisti secondo i quali siamo di fronte ad una minaccia reale portata avanti da curatori diabolici che vogliono indurre al suicidio molti giovani ingenui attratti dalla seduzione del gioco e che possiedono una incredibile capacità di manipolazione tale da indurre, con modalità ipnotiche o magiche, l’ideazione suicidale in soggetti altrimenti del tutto intenzionati a vivere normalmente. Dall’altro, abbiamo i negazionisti che sostengono che si tratti semplicemente di una bufala cui è stato dato in peso eccessivo. Tra i realisti, si deve includere una trasmissione televisiva prodotta nel programma Le Iene andata in onda la sera del 14 maggio di quest’anno. Il conduttore, Matteo Viviani, ha impostato il programma riportando interviste a due madri disperate che attribuiscono al gioco la perdita dei loro figli e mostrando video presi in rete nei quali alcuni individui si gettano nel vuoto. Sull’autenticità dei video mostrati permangono forti dubbi e recentemente lo stesso Viviani, a seguito di quanto pubblicato sulla pagina Facebook di “Alici come prima” e di molti altri youtuber ha dovuto riconoscere che si trattava di falsi, ma il programma, con i suoi viraggi in seppia, con l’uso sapiente di un bianco e nero da film vetro moscovita e con i toni piuttosto inquietanti, ha suscitato nel pubblico giovanile molto interesse e una curiosità morbosa.
Sull’altro fronte, sul Corriere della Sera (27esima ora, 17 maggio) è comparso un articolo di Lorenzo Fantoni che smonta completamente la ricostruzione delle Iene riconducendo tutta la vicenda ad una serie di fake news. I curatori non esistono, i suicidi ci sono ma non sono dovuti alla balena, Budeikin è un mitomane, le fake vengono messe in rete con lo scopo di attirare l’attenzione e di aumentare il numero di visualizzazioni. Esistono poi dei gruppi che predispongono degli Alternative reality games (ARG) nei quali la realtà viene modificata attraverso video falsi con lo scopo di creare situazioni immaginarie più o meno drammatiche.
Le ultime indagini sembrano fugare ogni dubbio: la balena, in quanto struttura simbolica organizzata, non esiste. Hanno ragione i negazionisti e si sarebbe indotti, leggendo i loro articoli, a trarre un respiro di sollievo: niente balene, niente suicidi. O perlomeno, nessun suicidio determinato dalla balena (qualcuno è stato anche capace di scherzarci sopra, proponendo fra le pratiche di preparazione al suicidio anche l’ascolto ininterrotto di tutta la discografia di Gigi D’Alessio ed altre facezie).
Purtroppo, però, le cose non sono così semplici e non si tratta proprio di essere ottimisti. Per capire meglio proviamo a chiederci: per quale ragione un giovane dovrebbe mettersi a guardare messaggi come quelli, perché mai dovrebbe esserne attratto? I siti sulla pesca sono frequentati solo dai pescatori, non da chi non prova interesse per questo hobby. E si potrebbe dire lo stesso per la numismatica e per le ricerche sui coleotteri: essi riguardano un target specifico e non l’intera comunità. Per questa ragione anche le nostre balene dovrebbero attrarre solo dei potenziali suicidi e non dei normali adolescenti. Ma il suicidio non è la pesca e non è la numismatica. Il suicidio rappresenta una possibilità tipicamente umana, legata a quel che supponiamo del libero arbitrio e a quel che sappiamo della disperazione. Molti adolescenti riflettono sull’idea del suicidio: non è di per sé un segnale di pericolo e va interpretato come un processo evolutivo adolescenziale che confronta l’individuo con la sostanza distruttibile del proprio corpo. Tuttavia proprio questo tipo di riflessione mostra come la questione del suicidio colga l’essenza stessa dell’uomo e susciti sempre curiosità ed interesse. A questa curiosità del resto deve essere ricondotto il successo della serie Tredici apparsa su Netflix recentemente.
Il potere della balena, quindi, non si situa nell’ordine simbolico della comunicazione scientifica e non basta una dimostrazione razionale per sconfiggerlo. Una volta che la notizia viene diffusa nell’immaginario massmediale essa acquista una sua dimensione di verità che trascende la realtà effettiva dei fatti. La psicoanalisi ha dato da tempo un nome a questa localizzazione degli eventi quando ha parlato fin dai tempi di Freud di realtà psichica: non c’è bisogno, per produrre un sintomo, che il trauma sia reale. Basta che esso abbia abitato la mente del soggetto perché possa trasformarsi in un evento capace di modificarne la vita. Nel caso della balena abbiamo qualcosa di più: non si tratta di una traumaticità soggettiva, ma di una sollecitazione massmediale immaginaria che è in grado di connettersi con una serie di vissuti adolescenziali – la vita notturna, il mistero, l’orrore, la morte – fino a produrre una forte attrazione. Non saranno soltanto i soggetti già fortemente indirizzati al suicidio a farsi sedurre dalla balena, piuttosto molti ragazzi, proprio grazie alla balena, cominceranno a pensare con più serietà di prima alle strategie con le quali giungere a darsi la morte e, magari, fra qualche tempo, dovremo correre in loro soccorso. Altri cominceranno invece da subito a farsi suggestionare, nel segreto delle loro stanze, senza bisogno di nessun curatore, praticandosi quei segni sul corpo che sono richiesti dalle regole del gioco per avvicinarsi al suicidio. Di molti, spero, ci accorgeremo; altri invece rischieremo di perderli e forse moriranno. Senza dire poi di quelli che, suggestionati nel modo opposto, si improvviseranno curatori, giusto per provare il piacere assurdo di manipolare la mente di qualcuno fino a convincerlo a commettere un gesto estremo.
Non parliamo mai del suicidio perché ci illudiamo che tacendo la cosa si risolva da sola. Ma poi ci accorgiamo che qualcun’altro lo fa e con un’intenzione malvagia e forse solo stupida: quella di attrarre un’attenzione morbosa. L’elemento più agghiacciante fra le dichiarazioni di Budeikin risiede nell’affermazione con la quale sostiene di essere stato l’unico ad ascoltare questi ragazzi, ad accogliere il loro malessere.
Lasciamo così che a parlare del suicidio siano dei nichilisti russi avvolti dal loro cinismo o delle produzioni televisive che, senza voler fare il male ma con un’eccessiva attenzione alla spettacolarizzazione, finiscono per diventare i veri artefici dei suicidi di cui parlano fino a diventare essi stessi degli inconsapevoli istigatori dei suicidi dai quali dicono di volerci mettere in guardia.
Infine, un ultimo terribile esito riguarda la distribuzione della colpa. Ci rimangono nella mente le lacrime delle donne intervistate da Viviani. Ne abbiamo sentite molte anche noi, piangere la morte dei loro figli. E non c’è dolore più straziante di quello di una madre che debba realizzare che il proprio figlio si è dato volontariamente la morte. Non abbiamo cuore di dir loro nulla se non di ascoltarle con il più profondo rispetto, e quando dicono che un potere magico ha trasformato la psiche dei loro figli, vorremmo quasi lasciare che questa versione rimanesse nelle loro menti. Ci risulta però necessario ribadire che, al di là e ben prima di ogni balena, i ragazzi che si sono tolta la vita lo hanno fatto in un modo che è sempre apparso inspiegabile e sorprendente, coltivando a lungo nel segreto il loro progetto, senza che nessun curatore li inducesse a mantenerlo ma, semplicemente, perché il discorso sulla morte è un tabù che il nostro modello culturale non accetta di rompere. La loro storia, le tristi vicissitudini della loro breve esistenza e le terribili ragioni della loro scelta non possono essere banalizzate attraverso un riferimento ad una pratica assai artigianale di condizionamento.
Ma la vera colpa, ripetiamolo, è anche nostra, della nostra reticenza a parlare con i giovani della morte, di quella cosa talmente misteriosa e terribile da suscitare talvolta il desiderio di anticiparla. Di quel gioco con la vita e con la sua negazione che nessuna balena ci ha insegnato, ma che tuttavia ognuno di noi, a suo modo, pratica.
Le considerazioni qui esposte, di cui mi assumo la piena responsabilità scaturiscono da un profondo lavoro di confronto con molti colleghi. In particolare ringrazio Yulianna Mylyanyk, per le informazioni che mi ha fornito su ciò che si legge nella stampa russa, Roberta Invernizzi per i suggerimenti, per le proposte, per le idee che ha condiviso con me, Giulia De Monte per l’attenzione che ha prestato a queste riflessioni. Insieme a loro ringrazio anche i colleghi del Minotauro e del gruppo Atlantide che hanno discusso con me le varie questioni e le numerose metamorfosi di questa balena.