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Condividiamo l’articolo di Rita Balestriero per D di Repubblica con l’intervista a Loredana Cirillo sulla complessa gestione della ripresa dell’anno scolastico dopo il lockdown da parte delle mamme.

Ferragosto si stava avvicinando, quando quell’ansia è tornata più violenta di prima. Non che se ne fosse mai del tutto andata, ma tante mamme avevano provato a scacciarla, a negarla, a fingere di non sentirla più. E così il crescente aumento dei contagi l’ha riportata persino più forte. Sbang.

C’è chi la avverte come una sensazione che schiaccia il petto, chi racconta di un pensiero fisso e ingombrante, chi si commuove per nulla, neanche ne stesse aspettando un altro, di bambino. Cosa sarà di questo autunno? E se la scuola dovesse richiudere? Quanto ci vorrà prima che tocchi alla classe di mio figlio la quarantena? E lui, come la prenderà questa strana istruzione in cui gli insegnanti mostrano solo gli occhi e l’amico della classe accanto diventa un nemico da evitare? Soffrirà? Regredirà? Questi mesi assurdi lo cambieranno per sempre?

«Stiamo vivendo una sorta di disturbo post traumatico, tutti questi tormenti sono assolutamente normali», spiega senza tanti giri di parole Loredana Cirillo, psicologa specializzata in adolescenti e genitori, che svolge attività clinica presso il centro Minotauro di Milano, ma è anche mamma di due bambini di 7 e 3 anni e mezzo. «Possiamo girarci intorno, cercare parole più dolci, ma tutti l’abbiamo vissuto questo trauma. Finito il lockdown abbiamo goduto di un effetto freezing, un po’ come se avessimo congelato le nostre emozioni come forma di autodifesa, come se nella fase 2 la tinta ai capelli avesse coperto anche le ferite. Ma era chiaro che il contraccolpo sarebbe arrivato, non c’era modo di evitarlo».

Cercando di fare ordine in questo groviglio di emozioni, lei riconosce nell’assenza di prospettiva il grande scoglio. «Siamo una società abituata al controllo: abbiamo sempre bisogno di avere degli obiettivi, di pianificare un progetto, sia esso organizzativo o affettivo. È inevitabile che non avere certezze su quello che succederà domani crei angoscia».

Valentina Mosconi ha 37 anni, vive a Verona e ha due figli di 4 e 6 anni. «il piccolo frequenta una materna privata e ha cominciato già i primi di settembre. Rientrare da quella porta dopo tutti quei mesi mi è sembrato come camminare sulle uova: da una parte ero felicissima che potesse ricominciare a giocare con gli amici, ma dall’altra ero terrorizzata che tutto finisse subito. I giorni passano e a quelle sensazioni si aggiunge la paura del contagio, il timore che vietino ai nonni di andare a prendere i nipoti, l’ansia del primo raffreddore: se saranno così rigidi da non farli entrare, come farò a organizzarmi con il lavoro, io che sono una libera professionista?». Di domande del genere Cirillo ne ha iniziate a ricevere moltissime in agosto, via WhatsApp, da pazienti che non riuscivano a godersi le vacanze perché continuavano a pensare a cosa sarebbe successo al rientro. «Gli rispondevo quello che continuo a ripetere a tutte: è importante parlare delle proprie paure, non bisogna silenziare l’angoscia. Più si condividono le preoccupazioni, più si abbassa il rischio di reazioni pericolose, impazzite. Non voglio dire che dobbiamo essere negativi, ma onesti sì: viviamo un’epoca storica in cui spaventa parlare delle proprie fragilità, in cui le mamme spesso competono le une con le altre, in cui è più normale fingere di essere felici nascondendoci dietro una bella fotografia. E invece, ammettere le proprie debolezze evita che la nostra ansia diventi rabbia verso gli altri, che possono essere i politici come i ragazzi degli aperitivi, o le mamme disperate che manderanno i figli a scuola imbottiti di tachipirina per superare la prova del termometro. Il rischio è quello di voler trovare a tutti i costi un nemico da combattere quando, invece, abbiamo un gran bisogno di solidarietà».

Di rabbia, infatti, parla senza mezze parole Rachele Peter, mamma di 6 figli dai 5 ai 19 anni che, pur in modo diverso, hanno tutti sofferto in questi mesi. «Sono arrabbiata perché continuo a sentirmi abbandonata. A una settimana dalla prima campanella non sapevo ancora nulla dagli istituti dei miei ragazzi. La socializzazione è una parte essenziale della loro crescita, tante personalità illustri hanno evidenziato i costi sociali di tenere chiuse le scuole per tutti questi mesi, ma nessuno se n’è curato. Questo sentimento negativo, però, Rachele è riuscita a trasformarlo in positivo, creando il movimento civico Ridateci la scuola (ridatecilascuola.it) che ha l’obiettivo di riportare il diritto all’istruzione al centro del dibattito civile. Una scelta, la sua, che è stata replicata da tante mamme nel mondo, come le quattro inglesi che hanno fondato Us for them (usforthem.co.uk). «Non siamo negazioniste, al contrario abbiamo tutte compreso l’importanza del lockdown e teniamo alla nostra salute e a quella dei nostri figli, ma proprio per questo pensiamo che sia importante occuparsi anche del loro benessere psicologico. I loro diritti non possono essere ignorati», hanno raccontato al quotidiano The Telegraph presentando la loro campagna online. I social, d’altronde, in tempi di distanziamento sono una preziosa piattaforma dove potersi confrontare. «Abbiamo avuto un’impennata di post e commenti», racconta Federica Migliorini, la fondatrice della community Mami Club, diventata un punto di riferimento per le giovani mamme milanesi e non solo. «Se dovessi analizzare l’ansia delle madri direi che, passato il lockdown, ci sono stati 2 picchi: il primo a luglio quando sembrava che le norme Covid provocassero moltissimi esuberi al nido; il secondo a fine agosto, quando non si sapeva ancora niente delle regole per la riapertura e il fatto di non avere risposte a tante domande manda in crisi. Io stessa, che ho una bimba di 4 anni, mi sono chiesta se rimandare alla materna fosse la scelta giusta e ho parlato dei miei dubbi in un post su Instagram che ha suscitato tantissimi commenti. Ora, invece, mi sembra che prevalga la consapevolezza che il rientro è un rischio che dobbiamo prenderci per il loro bene. Che ne sarà altrimenti dei bimbi e dei ragazzi della generazione Covid? «In molte mi raccontano preoccupate di come i loro figli siano regrediti, ovviamente in modi diversi a seconda delle età: ci sono piccoli che sono tornati a fare la pipì a letto, altri che hanno sviluppato tic, ma anche adolescenti che faticano a uscire di casa. Il mio consiglio è quello di non pensare che sia un problema del singolo ma di cercare di guardare alla situazione generale, uno sforzo che non siamo più abituati a fare perché da tempo i concentriamo solo sul nostro nucleo familiare» continua Cirillo. «I nostri figli stanno crescendo nel bel mezzo di un’epidemia mondiale ed è normale che facciano fatica a verbalizzare le loro paure e si comportino in modi strani, perché facciamo fatica anche noi. Insomma, non possiamo chiedere a loro delle performance che noi per primi non riusciamo a offrirgli. Dobbiamo tutti rassegnarci a convivere con un nuovo concetto di normalità». Che poi tornare esattamente a quella di prima non è un desiderio condiviso da tutte, come racconta Maia Ottogalli, marketing manager in una multinazionale e mamma di due maschi di 2 e 5 anni. «Lo smart working mi ha permesso di conquistarmi spazi nuovi, di vederli di più, e mi ha dato la possibilità di lavorare dove voglio, magari in montagna: io chiusa in casa davanti al pc, ma loro fuori in giardino a respirare aria buona. Insomma, a me dispiacerebbe tornare esattamente alla vecchia normalità. Al tempo stesso sono molto preoccupata di capire cosa lascerà questo periodo, soprattutto nella testa del maggiore, nei suoi ricordi, nel modo in cui si relaziona con gli altri».

Anche Simona Diliberto era preoccupata per il figlio di 4 anni, poi la scuola materna milanese dove insegna è cominciata prima di quella del bimbo e la prospettiva è un po’ cambiata. «La notte prima del rientro m’è sembrato di rivivere quella prima degli esami: emozioni, anche paura. Poi i miei alunni mi hanno sorpresa: alcune mamme erano commosse, preoccupate, scombussolate, ma loro sono rientrati come se fossero usciti da lì il giorno prima. Felici di vedersi, avevano tanta voglia di giocare e non gliene importava nulla che noi fossimo bardate (grembiule, mascherina e visiera, ndr): hanno un realismo magico, per loro siamo le maestre e basta. E forse dovremmo tutti imparare a vedere oltre, come fanno loro».