Condividiamo l’intervista di Cinzia Lucchelli a Matteo Lancini per repubblica.it
Sono un genitore migliore se geolocalizzo mio figlio e dunque so sempre dove si trova oppure perché non lo geolocalizzo e dunque gli do la mia fiducia? Placare la mia ansia esercitando questo controllo può accrescere la sua? Domande nuove per i genitori che oggi si trovano a portata di telefonino strumenti per tracciare in tempo reale gli spostamenti dei figli e non capiscono se è un bene o un male.
Dai registri elettronici sappiamo se sono entrati a scuola, se sono stati interrogati e anche che voto hanno preso, a volte prima di loro. Tramite applicazioni che legano il nostro telefonino al loro possiamo sapere sempre dove si trovano e verso dove stanno andando. Siamo sicuri che sia un modo per prendersi cura di loro? Lo abbiamo chiesto a Matteo Lancini, presidente della Fondazione Minotauro di Milano e docente al Dipartimento di Psicologia dell’Università Milano-Bicocca e alla Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica di Milano. Che fa una premessa: “Gli adulti hanno creato una società ‘on life’ (secondo la definizione dello studioso Luciano Floridi) e hanno obbligato i ragazzi a viverci. Fanno ciò che vogliono su internet per poi dire che il telefonino fa male ai ragazzi proprio quando, tra i 12 e i 17 anni, dovrebbero usarlo perché serve loro per costruirsi un futuro. Sono contradditori”.
La fragilità degli adulti
In questo contesto la geolocalizzazione e il registro elettronico, spiega l’esperto “sono la rappresentazione del controllo che famiglia e scuola hanno messo in atto sugli adolescenti in una società in cui regnano individualismo e iper-investimento in se stessi (non nei figli)”.
Come un proseguimento del baby monitor che usavamo quando erano in culla per controllare che stessero bene e accorrere al primo vagito. “Il corpo degli adolescenti è sotto sequestro nella nostra società e lo è da prima dell’arrivo di internet. Oggi ai figli è chiesto di far finta di essere autonomi quando in realtà sono paralizzati. Una volta tornavano a casa da scuola soli, scendevano a giocare in cortile, non sapevamo dove erano per tutta la giornata”. Vogliamo che siano autonomi, dice Lancini, ma che lo siano a modo nostro, sotto il nostro controllo.
Le conseguenze sugli adolescenti
La presa in carico da parte dei ragazzi della fragilità senza precedenti di noi adulti non è senza conseguenze. “Hanno dovuto assecondare i bisogni dei genitori mettendo a tacere il loro nucleo identitario. Spariscono, si chiudono in casa, non combattono, non protestano. Non è colpa di internet, telefonini, social. Soffrono di ansia, non hanno prospettive e hanno introiettato le ansie dei genitori. Siamo arrivati al punto che preferiscono rivolgersi a internet per trovare risposte più che ai genitori e agli insegnanti che hanno perso ai loro occhi credibilità e fanno loro sperimentare la solitudine”, spiega l’esperto.
Da dove ripartire per aiutare questi ragazzi in difficoltà? Come dare loro maggiore fiducia e aiutarli a crescere e a diventare autonomi? “Dagli adulti. Dalla costruzione di una relazione affettiva genitore-figlio e da una scuola capace di offrire loro esperienze evolutive e non infantilizzanti”, conclude lo psicoterapeuta.