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CONDIVIDIAMO L’ARTICOLO DI “IL SECOLO XIX” in cui Loredana Cirillo, psicoterapeuta e autrice del libro Soffrire di adolescenza. Il dolore muto di una generazione (Raffaello Cortina Editore), esplora il mondo degli adolescenti e la difficoltà di integrare il dolore e la sofferenza come parte della crescita.

Mi occupo di adolescenti, genitori e giovani adulti. In venti anni di psicoterapia ho raccolto tante storie e tanto dolore, osservando dei cambiamenti nei modi di soffrire. Negli ultimi anni c’è stata una accelerazione della sofferenza. Mi sono chiesa cosa stesse succedendo, ho sentito l’esigenza di fissare il pensiero. Il libro propone storie vere intrecciate con il mito, per simbolizzare meglio la trama delle ferite che attraversano la vita degli adolescenti».
Alle 18 di domani, presso la sala della Fondazione Carispezia, in via Chiodo, la psicologa e psicoterapeuta Loredana Cirillo presenterà il suo ultimo libro, “Soffrire di adolescenza. Il dolore muto di una generazione”, edito da RafaelloCortina.
Come sono i ragazzi contem-poranei?
«In apparenza più amati e più supportati rispetto al passa-to, ma scontano troppe contraddizioni del mondo adulto. Faticano a trovare il loro posto. Soffrono perché non riescono a dare un significato alla propria vita».
Il libro è un viaggio all’interno delloro universo?
«È una fotografia del cambiamento sociale e culturale, di come ci relazioniamo con il cor-po, con la società, con il dolore, con la fragilità. Fino a qualche anno fa il narcisismo improntava la società e orientava la personalità psichica. Il tema centrale della “performance”
imponeva di essere belli, onni-potenti, capaci di prestazioni eccezionali. Fino a quando è avvenuta una radicalizzazione tale da modificarlo».

Risultato?
«Ora non si tratta più di essere il primo della classe. È peggio.
È vietato soffrire. Si è costretti a vivere in un mondo “senza dolore”, in una società società dell’enjoy, del positivo, del be-nessere. Ciò determina mancanza di autenticità, una contraddizione nella relazione con gli adulti».

Lei parla di promesse tradi-te. Perché?
«I ragazzi vengono al mondo con la promessa di trovare accanto adulti che siano interessati alla loro libertà, alle loro esigenze e alle loro ragioni. Solo che questi adulti non sono in grado di mantenerla, questa promessa. E i ragazzi vivono un tradimento, un vuoto defla-grante. Soffrono, nella costruzione di unaidentità, anche solo nell’avere degli ideali. Tut-to, prima, era eccessivamente ideale, ma era qualcosa che ve-devi». Senza ideali, senza ascolto e senza punti fermi?
«Non sanno chi sono, non hanno riferimenti e certezze sul fu-turo. Sono spaventati da temi come la plastificazione degli oceani, le guerre che esplodono in continuazione e l’altera-zione climatica. Però non possono parlare, non possono dire di stare male».
Cosa comporta, questo do-vermentire?
«Non si può dare spazio alle emozioni negative, al normale conflitto, al dolore del vivere quotidiano. Tristezza e indecisione sono sentimenti da bandire, altrimenti al ragazzo viene detto che è un ingrato, un egoista, che gli è stato dato troppo».
Non c’è comunicazione? «Lo stereotipo vuole gli adolescenti odierni come scostanti, freddi, incomprensibili. Non è co-sì. Non basta dire che hanno ben più risorse, oggi. Non riusciamo a capire la loro fatica di stare al mondo: ma per diventare grandi è necessario integrare positivo enegativo nell’e-sistenza».
Che adulti siamo?
«Diversi. In passato non c’era abitudine a confidarsi ma c’era coerenza. La maggior distanza permetteva rispetto per l’a-dulto, l’insegnante, il vigile, l’autorità. Ora ai ragazzi si chiede di fingere che vada tutto bene. C’è incoerenza, si misconoscono intere quote di realtà».
Abbiamo creato trappole?
«Attribuiamo ad Internet il male del mondo, ma siamo primi ad usarlo. Facciamo fare pigiama party a tre anni fingendo che si divertano. Acceleriamo le fasi di crescita.
C’è iperprotezione e angoscia d’inadeguatezza nell’adulto ma poi devono cavarse-la da soli. E mai mostrarsi fra-gili. Li silenziamo, di fatto».
Come reagiscono gli adole-scenti?
«Soffrono. Si fanno del male.
Dai gesti autolesivi ad ansia, depressione, dissociazione.
Non diamo loro spazio per dirci come stanno. Si rapportano con rap e trap, perché in loro trovano il senso della disperazione che dall’adulto viene messo soffocato».
Dalle sue parole emerge profonda stima per questi giova-ni, è così?
«Non è una generazione persa, da cestinare. Ho molta fiducia in loro. Sono psicologi sopraffini si fanno addirittura carico delle criticità degli adulti. Sono il contrario degli egoisti, si sacrificano, ponendosi come salvatoriper salvaguardare le fragilita degli adulti. Sono una generazione buona che si muove per giuste cause. Sperimentano vuoto incolmabile».-