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Condividiamo l’intervista di Serena Coppetti a Matteo Lancini per Il Giornale.

Oggi i ragazzi portano a scuola tutti se stessi. Lì non sono più solo studenti. E i prof non sono più solo insegnanti. C’è di più e c’è dell’altro. C’era prima della pandemia che ha esacerbato quello che già covava da tempo. E il disagio, la sofferenza, il dolore che un tempo restava fuori da scuola, oggi si siede in classe, si stringe alla gola fino a diventare attacco di panico, si chiude in camera e non vuole uscire più mai più, gocciola lento dai tagli inferti nei bagni della scuola oppure addirittura spinge giù dalle scale, sempre della scuola, come è successo appena pochi giorni fa nei licei milanesi e dell’hinterland anche se nessuno lo ha raccontato.

Lo spiega Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta, presidente del Minotauro che ha appena pubblicato il libro «Sii te stesso a modo mio» (ed Cortina) dove parla di fragilità giovani e adulte. «Capisco l’allarme e la necessità di attenzione verso questi fatti – fa notare – anche se in Italia non siamo certo a livelli come nelle realtà statunitensi o come nelle banlieu francesi». Quel che è certo è che «il malessere portato a scuola dai ragazzi è in aumento e quindi abbiamo fenomeni come quello di oggi dove, giustamente, si scatena un’attenzione mediatica. Ma tenga conto che nelle nostre scuole c’è anche un numero impressionante di ragazzi che tentano il suicidio». Sappiamo che «molto spesso ogni omicidio è un suicidio mancato e viceversa, non escludo che il ragazzo avrà tentato di farsi male». Dietro c’è sempre un dolore, enorme, «che non ha trova altra via d’uscita se non attraverso un gesto violento». Verso se stessi, più frequentemente «o come in questo caso verso l’insegnante che per lui sicuramente è una figura importante – spiega Lancini – perchè non ti scagli mai contro chi non è rilevante. Quindi a chi parla del mancato riconoscimento del ruolo dell’insegnante dico che è proprio il contrario». Così mentre da più parti ora si chiede lo psicologo a scuola, Lancini fa notare che «quello che serve, è fare in modo che i ragazzi invece di agire il dolore e tirare fuori una violenza così disastrosa vengano aiutati a trovare il modo di esprimere la loro sofferenza».