“Il club delle cattive figlie” articolo di Elle con intervista a Laura Turuani

Riportiamo l’articolo di Enrica Brocardo pubblicato su ELLE il 05/04/2025 con intervista a Laura Turuani

Il club delle cattive figlie

Madri di adolescenti, figlie di genitori over 75 anni che richiedono attenzioni: e nel mezzo le nostre debolezze, i sensi di colpa e la necessità di fare spazio. Per noi e per le idee di maternità che abbiamo

Giuliana cammina mano nella mano con sua madre, anche se mamma indossa un bel paio di sneakers e si regge benissimo da sola. Quando le parla fa la vocina come se si rivolgesse a una bambina. A 52 anni ha lasciato un impiego nel marketing che si era conquistata a fatica, lavorando anche 12 ore al giorno e nei weekend. Ha detto addio a un ottimo stipendio in cambio di una buona uscita ed è tornata a casa da mammina. Ha messo anche 600 chilometri tra lei e il compagno che è rimasto a vivere all’estero. O, forse, è stato il compagno che quando le ha detto: “Non pensare a me, torna da mamma” ha fatto sembrare come un gesto di supporto il suo desiderio di tenersi alla larga dalla suocera. Ma il dubbio è mio e mi guardo bene dal farlo uscire dalla mia testa. «Mi ha cresciuta da madre single quando esserlo era quasi una vergogna», racconta. «Ha fatto i salti mortali per starmi vicina, mandarmi all’università e io ho fatto il possibile perché fosse fiera di me. Poco dopo la laurea ho lasciato l’Italia perché all’estero c’erano più chance di carriera, ho messo da parte un po’ di soldi, ho comprato una bella casa. Ma quando mamma è arrivata vicina agli 80 ho pensato che avesse bisogno di me e sono tornata». Lei non lo dice, ma sono convinta che anche il fatto di non avere figli abbia pesato: la manca una scusa con se stessa per non tentare disperatamente di ripagare i sacrifici che sua madre ha fatto e che le pesano sulle spalle come macigni insieme ai sensi colpa. Perché per quanto faccia non è mai abbastanza. Giuliana è (si sente) una figlia cattiva. O meglio, incarna una delle diverse manifestazioni di indegnità filiale.

Si intitola proprio Il club delle cattive figlie – in uscita in Italia per Feltrinelli – il nuovo romanzo di Vanessa Montfort, già autrice nel 2016 del bestseller Donne che comprano fiori. Un giallo che esplora le dinamiche più o meno perverse tra le protagoniste e le loro madri. C’è Ruth, diventata psichiatra per cercare di capire le relazioni disfunzionali della sua famiglia di origine, Suselen, che si è trasferita a Londra per mettere una distanza se non altro geografica tra lei e la mamma e Monica, addestratrice di cani poliziotto, che incontriamo nelle prime pagine del libro mentre osserva sullo schermo del cellulare le sette chiamate perse provenienti da sua madre con un misto di fastidio e senso di colpa.

Un’altra variante, forse la più diffusa, delle figlie cattive. Quelle che di fronte all’ennesima telefonata di una mamma ansiosa o impicciona o solo annoiata che «per il tuo bene» spara domande come un plotone d’esecuzione «dove sei, che cosa fa, hai mangiato?» pensano «che palle», mentre il dubbio di essere delle stronze le consuma dentro. Monica, infatti, sa benissimo che il fatto di essere al lavoro è un’ottima giustificazione per non rispondere ma, al tempo stesso, le pesa la consapevolezza di essere stata meno disponibile del solito e di aver ridotto le visite del fine settimana «allo spiluccare qualcosa insieme sempre negli stessi posti mentre rispondevo ai messaggi su WhatsApp».

50 anni e una madre di 73, Montfort non si è ispirata solo alla sua vita e ai racconti delle amiche. «Anche se è un libro di fiction, io sono una giornalista. Ho fatto molte ricerche sul rapporto madri e figlie e ho intervistato dozzine di donne in America e in Europa, Italia compresa. In forma anonima, ovvio, perché è un tema molto delicato (Ride)». La conclusione cui è arrivata? «Anche se la cultura e la storia dei vari Paesi cambia, il gap che separa le figlie quaranta, cinquantenni dalle loro mamme è più ampio di quello che separava loro dalle loro madri. Per le nostre nonne non c’era dubbio che le donne dovessero essere madri e casalinghe, mentre le nostre madri appartengono alla generazione che ha vissuto il femminismo. Ma se quella rivoluzione loro l’hanno combattuta, siamo state noi figlie a godere delle libertà conquistate. E questo crea un senso di frustrazione e un conflitto. Dall’altro lato, le cinquantenni come me, soprattutto durante il Covid, hanno realizzato di avere madri anziane, fragili, che hanno bisogno di aiuto».

E se, quindi, ci troviamo dall’altra parte dell’oceano – proprio come era successo a Montfort – perché stiamo lavorando e abbiamo realizzato i loro sogni, ci sentiamo comunque in difetto. E questo nonostante per quella libertà stiamo comunque già pagando il prezzo perché tenere insieme tutto, lavoro, famiglia, cura di noi stesse, non è facile. «Peccato che loro, le madri, non sempre lo capiscano: chiamano e si aspettano di trovarti pronta a parlare senza rendersi conto che tu quel tempo magari non ce l’hai». Colpa della sindrome della superwoman che la scrittrice aveva esplorato nel suo libro Donne che comprano fiori: «Donne tuttofare, mogli, madri, in carriera, ma senza superpoteri», dice. «Ci hanno detto che il lavoro viene prima di tutto, che la famiglia è un optional, tutto molto bello ma anche complicato. Inoltre, se qualcuna è felice di fare la casalinga dovrebbe essere libera di farlo. Invece, c’è un sacco di pressione delle donne che hanno dovuto rinunciare ai loro sogni sulle proprie figlie: le affidano il compito di diventare le persone che loro avrebbero voluto essere. È come se dovessimo pagare il prezzo di essere nate libere».

«La prima domanda che mia madre mi fa è: “Stai lavorando abbastanza?”. Poi, spesso, mi fa notare che sarebbe l’ora che andassi dal parrucchiere. Oppure mi dice che dovrei cominciare a usare un idratante per il viso. Sottinteso: “Hai una brutta pelle”. E quando ribatto che non ho tempo per fare tutto, la sua risposta è: “Ma cosa vuoi che sia? Ci metti cinque minuti!”». Laura, 46, anni, libera professionista, fa un’espressione esasperata. Lei appartiene alla categoria delle figlie cattive perché inadeguate. «Il problema è che spesso le madri fanno fatica a capire la fatica eroica che facciamo per tenere insieme le nostre vite multitasking», dice la psicologa Laura Turuani. «Siamo le ultime figlie brave, cresciute con un’educazione basata sulle regole, e le prime mamme buone, che hanno per obiettivo la felicità dei propri figli. Schiacciate in mezzo, giudicate, non possiamo fare a meno di dubitare: “Stiamo facendo bene?”. Inoltre, il rapporto mamma-figlia è più simbiotico, invischiato, perché la mamma è anche una figura femminile con la quale identificarsi. Soggettivarsi è più difficile, lo strappo è più violento».

Turuani ha scritto un libro intitolato Le schiacciate (Solferino, 2024) che parla «anno più anno meno di donne intorno ai 50, con figli adolescenti e genitori over 75». Una generazione che una sua collega, Silvia Lo Vetere, ha definito di pioniere perché alle prese, come mai era successo prima, con la cura dei figli e dei propri genitori.

Monica, 43 anni, è una “schiacciata” precoce con una madre-bambina «che da un lato mi cerca perché si sente sola, dice che ha voglia di fare due chiacchiere salvo che, poi, non mi ascolta, oppure mi tempesta di messaggi perché ha comprato un nuovo smartphone ma non capisce come funziona. Dall’altro lato, però, mi tratta come se fossi ancora una ragazzina: “Sono le otto di sera, dove sei?”. Per anni mi sono fatta un mazzo così, ora che ho un lavoro sicuro e guadagno abbastanza pensavo di potermi rilassare un pochino. Sbagliato».

Spiega Turuani: «Spesso quando le donne pensano che sia arrivato il momento di poter gestire il proprio tempo, ecco che la boccata di ossigeno può essere inquinata dal vento portato dalle esigenze dei propri genitori. E può succedere così che si inneschino cortocircuiti emotivi». Se decidi di dare comunque priorità a te stessa puoi sentirti egoista, oppressa dal senso di colpa o venire criticata. «Se, invece, metti avanti le necessità del genitore, magari sentendoti spinta più dal senso del dovere che dall’affetto, puoi sviluppare rabbia e risentimento. A complicare la fatica dell’accudimento ci sono poi i conflitti, gli screzi, le incomprensioni di una vita. Le ferite restano aperte e a volte si allargano».

Da anni a ogni pranzo di famiglia, Ginevra, 31 anni, sa già esattamente che cosa l’aspetta. «Dopo aver inutilmente detto e ridetto a mamma che possiamo benissimo uscire tutti insieme a mangiare una pizza, arrivo e trovo la tavola imbandita come per un ricevimento di stato. Lei mi guarda stravolta: “Ecco”, dice, “tocca sempre fare tutto a me”».

A Ginevra, purtroppo, è toccata in sorte una mamma-martire. Una delle figure femminili analizzate dalla psicologa Natalia De Barbaro nel suo libro Nella mia vita manco io (Giunti) e, fra le varie tipologie di madri tossiche, forse la più subdola. Perché una primadonna la riconosci da lontano mentre la martire, scrive De Barbaro «spesso ha un aspetto innocuo: mani rovinate, voce pacata, occhiaie, ricrescita “perché chi ha tempo di andare dal parrucchiere?”. La sua, però, è una delle forme di aggressività più pericolose. La martire non chiede nulla e non accetta di essere aiutata perché vuole farti sentire in debito».

La terapeuta Emanuela Rocco racconta: «Sono tante le donne dai trent’anni in su che arrivano da me tormentate dai sensi di colpa. Hanno madri insoddisfatte che le fanno sentire responsabili della loro infelicità. Il messaggio che arriva loro è: “Non mi sono realizzata perché ho dovuto fare la mamma”. Ovviamente non usano queste parole ed è lì il problema. Manifestano la loro frustrazione tramite la depressione, la rabbia, il lamento. Usano frasi come: “Non ho tempo per me”, “Sono sempre stanca”. Meglio una che dice in maniera esplicita di aver fatto delle rinunce per te, perché ti dà la possibilità di parlare, magari anche di litigare».

Secondo alcune ricerche i rapporti conflittuali tra madre e figlia sarebbero addirittura il 70 per cento del totale. Possibile? «Io posso solo dire che l’argomento di cui si parla più spesso in terapia sono le madri. Che si tratti di pazienti adolescenti o settantenni», dice Rocco, che spesso, per questa ragione, propone di coinvolgere nella terapia anche le mamme. «Ma c’è chi da me viene senza dirlo alla madre per evitare di sentirsi chiedere: “Vai dallo psicologo per colpa mia? Ed è capitato più volte che dopo aver invitato una paziente a portare in studio la madre, la terapia si sia interrotta bruscamente. Il rapporto madre figlia è uno dei più forti e ambivalenti: “Ti amo, ma ti devo anche amare”. E quando insorge l’insofferenza partono anche i sensi di colpa». Conclude: «Un’altra cosa che noto oggi è il malessere delle adolescenti con mamme-amiche che si comportano alla pari, a volte vanno in competizione con le figlie, si intromettono nelle loro relazioni».

Colpa anche dello scontro ormonale di cui parla Turuani ne Le Schiacciate. Ovvero, da un lato le mamme in perimenopausa, dall’altro le figlie alle prese con la pubertà «che, nel migliore dei casi, considerano cringe l’ostinazione delle loro genitrici a voler essere belle, a rimanere in forma».

Se una soluzione non c’è, tanto meno la stessa per tutte, forse vale la pena di tentare quello che le protagoniste de Il club delle figlie cattive sono costrette a fare per risolvere un caso di omicidio. Ovvero cercare di capire chi sono quelle donne che chiamano mamma. Dice Montfort: «Chiediamoci: “Che cosa sognavano prima di diventare madri? E che cosa sognano ancora oggi?”. Spesso siamo troppo prese dalle nostre vite per provare a capire. Ma è un bene per tutte, figlie e madri, costruire un rapporto fra adulte che vada oltre: “Come stai? Che cosa hai mangiato a pranzo?”».