Condividiamo l’editoriale di Matteo Lancini per La Stampa.
In un rapporto redatto da esperti francesi si suggerisce di introdurre norme che limitino l’uso di device e internet tra i minorenni. Tra le altre: niente internet nello smartphone fino ai 13 anni, niente social media prima dei 15 anni, poi possibilità di utilizzare solo quelli “etici” e, dunque, divieto di utilizzare Instagram e Tik Tok prima dei 18 anni. Eccoci con l’ennesima proposta che intenderebbe regolamentare lo smodato utilizzo giovanile della rete e che susciterà immotivato entusiasmo in molti adulti.
Insieme a diversi colleghi lavoro sul tema delle dipendenze da internet da quasi due decenni. Non è possibile elencare la moltitudine di proposte e iniziative in questa direzione di cui ho sentito parlare e in cui sono stato coinvolto. Mi piacerebbe dichiarare che sono state inutili, invece si sono rivelate deleterie, controproducenti. La dissociazione di una società che continua a testimoniare ai ragazzi che il successo personale, sociale, professionale ed economico in ogni settore, così come la declinazione del proprio ruolo di genitore, transita attraverso l’utilizzo quotidiano dei social, non ha fatto altro che confermare quanto gli adulti di oggi siano fragili, spingendo gli adolescenti a rivolgersi alla rete, vista come interlocutore più attendibile degli adulti, perennemente connessi. Le iniziative che puntano sulla proibizione dei consumi in adolescenza sono da sempre fallimentari, immaginiamo quelle non attuabili davvero e riguardanti l’utilizzo di internet, senza il quale sei impossibilitato a realizzare te stesso, personalmente e professionalmente, oggi è nel futuro.
Per quanto mi riguarda sono pienamente d’accordo sul divieto di utilizzo di Instagram e Tik Tok, a patto che si vieti anche Facebook e che il divieto non si limiti ai 18 anni di età ma si estenda fino agli 80 anni, compiuti. Sono anche d’accordo sul divieto di utilizzo di uno smartphone collegato in internet fino ai 13 anni ma a patto che parallelamente sia vietato a mamma e papà di consegnare ai figli qualsiasi telefonino di vecchia generazione; figli disconnessi ma sempre rintracciabili, obbligati a rispondere alle telefonate di mamma e papà che dal luogo di lavoro chiamano preoccupati per il ritardo accumulato dal figlio nel tragitto da scuola a casa: “dove sei? ”. Continuare a sostenere che il malessere giovanile dipenda dall’arrivo nel mondo dello smartphone è un’operazione di pulizia della coscienza da parte di adulti che non considerano le controversie scientifiche a riguardo e che non accettano che, se anche così fosse, ciò probabilmente sarebbe da attribuire, in primis, allo smodato utilizzo che ne hanno fatto tutti gli adulti.
Il disagio delle nuove generazioni dipende dal fatto che li controlliamo troppo, che abbiamo messo il loro corpo sotto sequestro, che passiamo la nostra vita davanti a uno smartphone e a lavorare. Siamo pronti a rinunciare a qualcosa, a smetterla di gestire la quotidianità scolastica e umana dei figli via whatsapp e a promuovere la nostra esistenza e attività professionale attraverso i social? Vietare alle nuove generazioni comportamenti che ogni giorno governano le nostre vite spingerà i ragazzi e le ragazze a pensare che internet sia davvero più autorevole di noi adulti: genitori, insegnanti, educatori e psicologi.
Non sarebbe meglio dedicare il nostro tempo a organizzare qualche iniziativa educativa aggiuntiva, piuttosto che privativa, per far finalmente percepire ai nostri figli e studenti che stiamo pensando a loro e non a noi stessi?