Seleziona una pagina

Condividiamo l’intervista di Luciano Moia a Matteo Lancini per Avvenire.

«Il caso Tasso? Un esempio straordinario per raccontare, ancora una volta, come in questa nostra epoca post-narcisistica a nessuno importi davvero nulla dei ragazzi. Oggi parliamo del Tasso ma la situazione potrebbe ripetersi ovunque. Di quegli adolescenti sembra non importare nulla al preside, né agli insegnanti e neppure, mi spiace dirlo ma è così, ai genitori».

Questa volta Matteo Lancini è provocatorio e ribalta la prospettiva. Psicologo e psicoterapeuta, docente all’Università di Milano Bicocca, presidente della Fondazione Minotauro, autore di tanti studi originali sull’emergenza educativa – l’ultimo Sii te stesso a modo mio. Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta (Cortina Editore) – lavora da oltre trent’anni con i ragazzi difficili, ma in questa occasione si schiera senza alcun dubbio con gli studenti del liceo romano.

Ma come professore? Una volta tanto che la scuola è severa nell’ottica del rispetto delle regole dopo tanti anni di buonismo, lei rovescia la prospettiva e critica le scelte della presidenza?

Il 5 in condotta è un provvedimento stereotipato e inutile. Come beninteso è inutile, e anche dannosa, la scelta dei genitori di schierarsi con i ragazzi. Sono prese di posizione che non servono ai ragazzi ma solo agli adulti, per mettere a tacere la propria incapacità di intervento e illudersi di aver fatto qualcosa, di non essere rimasti a guardare. Invece così hanno solo dimostrato ancora una volta che scuola e famiglia stanno perdendo di vista gli autentici bisogni degli adolescenti.

Il preside ha richiamato i ragazzi al rispetto delle norme. Perché è sbagliato?

Ma quali norme? Il problema è quello di imporre delle norme agli adolescenti quando gli adulti sono i primi a infrangere quelle regole che loro stessi vorrebbero far rispettare? E dall’altra parte ci sono genitori che, pur difendendo i ragazzi, si comportano allo stesso modo. Questo rimpallo di responsabilità tra scuola e famiglia è un dibattito che va avanti da decenni, ma senza un’autentica alleanza educativa ha poco senso.

Perché non ritiene che la richiesta del preside ai ragazzi di rispettare determinate regole sia opportuna?

Sono regole che in questa società non hanno senso. Questi provvedimenti, ripeto, sono fatti per recuperare un’autorevolezza che oggi i ragazzi, almeno nella maggior parte dei casi, non riconoscono più agli adulti. Sanno benissimo, i nostri ragazzi, che insegnanti e genitori agiscono così solo per mettersi a posto la coscienza. “Siamo intervenuti”. Sì, ma in che modo? Così siamo soltanto riusciti a cancellare la centralità degli adolescenti.

Secondo lei cosa avrebbero dovuto fare preside e insegnanti?

Avrebbero dovuto trattare questi ragazzi che protestano come panda in via di estinzione. Ma come, in un clima di indifferenza generale, di disimpegno intellettuale, quando ci raccontiamo che ai ragazzi importano soltanto i social, ci sono ancora adolescenti talmente preoccupati del funzionamento della loro scuola da scatenare una protesta? Benissimo, avrebbero dovuto dire gli adulti, allora non lasciamoci sfuggire questa occasione per un confronto, per un momento di dialogo. “Cari ragazzi grazie di questa opportunità, sediamoci insieme e discutiamo. Noi vi spieghiamo cosa concretamente potremmo fare, anche sulla base dell’autonomia che ci è concessa, e voi esprimete liberamente il vostro parere”. Che grande occasione di crescita sarebbe stata.

Ma il confronto non sarebbe stato possibile pur nel rispetto delle regole?

Se vogliamo essere educatori attenti dobbiamo guardare in faccia la realtà. E questa realtà, quando osserviamo i ragazzi di oggi, è molto, molto preoccupante. Tra gli adolescenti domina una disperazione che, in assenza di altri obiettivi meritevoli, li porta troppo spesso ad attaccare sé stessi con gesti di autolesionismo. Vivono una situazione di ansia che li opprime. Non servono le statistiche dei reparti di neuropsichiatria infantile – che pure sono preoccupanti – basta guardarsi in giro. La violenza di strada, la crescita delle baby gang, il ritiro sociale di troppi adolescenti sono sintomi che dovrebbero farci riflettere. È il disagio che si esteriorizza. Le famiglie sono impotenti e la scuola latita.

Quindi in questo caso la protesta diventa una richiesta di attenzione?

Nella maggior parte dei casi i ragazzi non protestano, se ne vanno. I tassi di abbandono sono in crescita ovunque. Sappiamo che i modelli scolastici vivono una crisi senza precedenti. Gli adolescenti avvertono che gli adulti, alle prese con situazioni dilaganti di fragilità emotiva, di loro importa poco. Ebbene, nonostante tutto, i ragazzi del Tasso si lamentano della proposta scolastica. E, come risposta, arrivano i 5 in condotta. Che brutto esempio abbiamo dato. Imponiamo regole e poi, come i ragazzi vedono benissimo, siamo i primi a non rispettarle. Soprattutto in quel mondo di Internet e dei social che a loro sta molto a cuore.

Ma a cosa si riferisce?

Anche ai dibattiti di questi giorni. Invochiamo le regole e poi non siamo in grado di regolamentare l’utilizzo dei social, scatenando polemiche su episodi che avrebbero meritato maggior rispetto e maggiore prudenza. Ma, lasciando stare questi fatti, pensiamo solo alla pretesa di imporre ai ragazzi modalità e orari per l’uso del telefonino, quando noi siamo i primi a utilizzarlo a tutte le ore, senza separarcene mai.

Ma è per lavoro, si dice…

Ah certo, come capita ai genitori di una classe che ormai sono tutti collegati nei gruppi whatsapp. Le mamme passano il tempo a sparlare di quella e di quell’altra. E tutte insieme sparlano degli insegnanti, ma poi esigono che i ragazzi non prevarichino i compagni e guardino con rispetto i docenti. Ma come fanno, se diamo loro questi esempi pessimi?

Stiamo dipingendo una realtà a tinte fosche. Non c’è qualche motivo di ottimismo?

Ma certo. Per fortuna quando i ragazzi incontrano adulti che si interessano a loro in modo autentico, competente, disinteressato, la risposta è splendida. Dobbiamo far sentire ai nostri adolescenti che ci stiamo preoccupando di loro in modo costruttivo, che siamo motivati, che vogliamo costruire insieme il loro futuro. E gli adulti facciano finalmente gli adulti. A scuola e in famiglia. L’attesa è finita.