Condividiamo l’articolo di Matteo Lancini per la rivista Vita e Pensiero.
I miti affettivi familiari e sociali si trasformano nel corso del tempo e influiscono in modo decisivo sulle modalità di affrontare l’adolescenza da parte delle diverse generazioni. La fisiologia della crescita e il disagio in adolescenza dipendono moltissimo dal contesto familiare, sociale e ambientale in cui si nasce, si cresce e ci si trova a realizzare gli ineludibili compiti evolutivi innescati dalla seconda nascita adolescenziale.
In un passato sempre più lontano, la cifra distintiva dell’adolescenza era la trasgressione e l’opposizione alle rigide prescrizioni adulte. La famiglia tradizionale e normativa, in collaborazione con la società sessuofobica, spingeva l’individuo, una volta diventato adolescente, a opporsi agli adulti e a trasgredire le regole per realizzare finalmente sé stesso e la propria sessualità, liberandosi dal giogo della colpa e dalle imposizioni della famiglia e della società del “devi obbedire”.
Negli ultimi decenni, le straordinarie trasformazioni familiari e sociali hanno promosso l’era del narcisismo. I bambini nascono e crescono in una famiglia molto più affettiva e relazionale, fortemente orientata a sintonizzarsi sull’espressività e le precoci intenzionalità del “cucciolo d’oro”. I genitori, insieme alla società dell’immagine e dell’individualismo, alimentano aspettative ideali di bellezza, successo e popolarità, che rischiano di crollare con l’arrivo dell’adolescenza. La precocizzazione delle esperienze infantili promuove attese straordinarie che difficilmente risultano compatibili con le trasformazioni del corpo e della mente innescate dalla pubertà, determinando sentimenti di vergogna, inadeguatezza e senso di fallimento.
Se l’interlocutore dell’adolescente del passato era il Super Io, l’interlocutore dell’adolescente narcisista è l’esigentissimo Ideale, un enorme e dispotico grande sé, con il quale il piccolo sé dell’adolescente è costretto a fare i conti. La trasgressione sparisce e lascia spazio all’attacco al sé e al proprio corpo, come modalità elettiva di esprimere la sofferenza evolutiva generazionale. I disturbi della condotta alimentare femminili, il ritiro sociale maschile, i tagli inferti al corpo e i tentativi di suicidio si impongono come sintomatologie prevalenti. Oggi, anche questo paradigma è superato.
Negli ultimissimi anni, l’evidente incapacità degli adulti a identificarsi con i propri giovanissimi interlocutori, insieme all’aumento di adolescenti che esprimono la propria sofferenza attraverso polisintomatologie e in balia di un’ansia pervasiva e generalizzata, ci hanno costretto a comprendere come il mito dell’adolescente narcisista, cresciuto al centro dell’attenzione di scuola e famiglia non sia più credibile.
Siamo entrati nell’epoca del postnarcisismo, caratterizzata dalla richiesta paradossale a bambini e adolescenti di crescere all’insegna del “Sii te stesso a modo mio”, proveniente da genitori, insegnanti ed educatori impegnati, in nome della propria fragilità, a investire le nuove generazioni di un mandato che li faccia sentire adulti adeguati. Sovraintendere la mente dell’altro, in nome delle proprie fragilità e della necessità impellente di sentire di svolgere bene il proprio ruolo, è il mantra, spesso inconsapevole, della società odierna. Una società dissociata, dove i genitori hanno sequestrato il corpo dei figli, non consentendo loro nessuna esperienza di gioco e socializzazione fuori dal controllo degli adulti, per poi lamentarsi della diffusione di videogiochi e social.
Una società in cui la scuola alimenta competizione sin dalle prime settimane della primaria attraverso bollini di diverso colore, per poi lamentarsi dell’individualismo e della competitività dei giovani frequentatori dell’edificio scolastico e dove le società di calcio dividono i giovanissimi atleti in squadre A, B e C, a seconda delle capacità dei singoli, per poi sgridare un bambino che esclude un compagno meno bravo dalla rete dei suoi passaggi del pallone.
La famiglia odierna ascolta i propri figli molto più che in passato, ma fatica enormemente ad ascoltare cosa hanno da dire le nuove generazioni, rimuovendo la possibilità di esprimere emozioni come la tristezza, la paura, il senso di fallimento, troppo dolorosi per poter essere tollerati.
Oggi l’adolescente è alle prese con un vuoto identitario e un’assenza di prospettive future che dipendono dal fatto di non aver potuto esprimere aspetti nucleari della propria identità nascente. Oggi l’interlocutore dell’adolescente non è più il Super Io, non è più neanche l’Ideale ma è un senso di vuoto e di solitudine proprio di chi è cresciuto dovendo essere sé stesso a modo della mamma, del papà e dell’insegnante.
Per questo oggi l’ansia non è più ansia da prestazione ma è un’ansia generalizzata. L’ansia dell’adolescente odierno è angoscia, ma siccome l’espressione è, per noi adulti fragili, troppo angosciante, continueremo a chiamarla ansia.