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Condividiamo l’intervista di Valentina Santarpia a Matteo Lancini per Corriere.it

«Che significato ha per voi la coppia? Come vi siete sentiti quando siete stati lasciati? Cosa significa essere fragili?». Matteo Lancini, psicoterapeuta esperto di tematiche legate all’adolescenza, partirebbe da queste domande per avviare degli incontri di educazione sentimentale in classe. È il tema del giorno. Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara annuncia un progetto che sarà presentato oggi, il mondo della politica invoca un cambio di passo, la scuola viene chiamata a intervenire: ma come «fare lezione» di affetto, in tutte le sue declinazioni, dal rispetto alla sessualità, è tutt’altro che questione semplice.

«Realisticamente eviterei di introdurla alla primaria- spiega Lancini – Rischi di dover spiegare qual è la tua visione, e di entrare in conflitto con chi ha una visione diversa dalla tua. Piuttosto partirei dalle secondarie con formule di rappresentazione, brainstorming, confronto, senza formule troppo prefissate, partendo da un minimo di 4 ore all’anno ad un massimo di dieci. Gli adulti sono convinti che i ragazzi vadano informati: non è così, non serve spiegargli l’effetto delle droghe o la necessità di mantenersi sobri alla guida per educarli ai sani comportamenti. Ai ragazzi non manca l’autoconsapevolezza, ma la capacità di conservarsi». Come aiutare quindi gli studenti a districarsi nel mondo delle relazioni? «Dobbiamo insegnare l’educazione identitaria, provare a capire come vivono i ragazzi la crisi dell’autorità paterna, far capire che esistono nuovi modi di intendere la relazione, il sesso, la coppia, e quindi sviluppare degli incontri dove si elaborino le tematiche, mediando i racconti dei ragazzi, attivando non solo contenuti legati al patriarcato e al possesso, ma anche lasciando venir fuori la fragilità di quando si cede una parte di sé all’altro, e poi si diventa disperati se l’altro toglie lo sguardo da te, un vuoto disperato che distrugge tutto, e che può trasformarsi in violenza. Si parla tanto della difficoltà di costruire un amore, ma anche la fine del rapporto di coppia dovrebbe essere considerato un processo facente parte del rapporto meriterebbe un tempo, una mediazione, come se dovessimo dare senso alla nostra esperienza , al progetto».

Per Susanna Mantovani, professoressa onoraria di pedagogia a Milano Bicocca, l’educazione affettiva invece «dovremmo farla tutti, in ogni occasione possibile. Ognuno nel proprio. Fin dai primissimi anni e comunque sempre: genitori, educatori, e tutti gli insegnanti, ogni giorno, senza ore in più», con «un po’ di formazione su come cogliere segnali e comunicare». I contenuti? «Nell’educazione affettiva ci sta anche un’educazione equilibrata a gestire le inevitabili frustrazioni della vita, fin dai primissimi anni», sottolinea Mantovani.

Daniele Novara, pedagogista, invece fa una netta distinzione tra piccoli studenti- Infanzia e Primaria- e ragazzi più grandi, dalle medie in su: «L’infanzia è dominata dal pensiero magico, e quindi da una difficoltà a mentalizzare i processi di relazione sessuale nel vero senso della parola, per cui almeno fino alla quinta elementare mi limiterei a dare nozioni di educazione alla conoscenza del proprio corpo, e poi lavorare sulle questioni socio affettive, sul maschile /femminile, sulle capacità di accoglienza reciproca, di ascolto reciproco, di accoglienza. Una sorta di preliminare di un’educazione sessuale sana, che crea dei basilari affettivi importanti: ci sono giochi, come quello della carta di identità, dove ciascuno ricostruisce le sue caratteristiche, non solo fisiche, che aiutano tantissimo la conoscenza e il rispetto delle diversità». Finita l’infanzia, però, secondo Novara «i ragazzi sono in grado di elaborare un filtro cognitivo, di capire che la sessualità attiene all’area del piacere», e quindi è fondamentale che ricevano le nozioni chiare da chi ha le competenze scientifiche per darle, «perché non è compito dei genitori. Se la scuola non fa una buona educazione sessuale, i ragazzi si rivolgono ai siti porno, che sono assolutamente misogini, e che quindi orientano i ragazzi in maniera distorta». Come fare una buona educazione sessuale a scuola? «Non sono per una materia a parte, né per esperti arrivati da fuori. Basta individuare l’insegnante più adatto o più interessato e fargli organizzare un laboratorio, un’ora a settimana, come la palestra»

Una visione che non condivide del tutto Daniela Lucangeli, ricercatrice, professoressa di psicologia dell’educazione e dello sviluppo all’università di Padova. «Se non comprendiamo bene cosa significa sentimento, e quindi come funziona il sentire della mente, è tutto inutile. Inutile prevedere di insegnare a riconoscere le emozioni, perché le emozioni si riconoscono sentendole. Che cos’è l’affetto?- spiega- viene da ad e facere, che significa fare qualcosa per, quindi mi aggiungo al tuo vivere, al tuo fare, è quella dimensione del sentimento che affida sè all’altro. Quindi l’affetto, l’educazione affettiva è tipica dell’educazione: c’è un tempo della vita in cui dipendiamo dagli altri a cui siamo affidati, in tutta questa fse per filogenesi la connessione si sente, perché passa attraverso le strutture sensoriali, la voce, lo sguardo, il tocco, la vicinanza, l’abbraccio. Purtroppo per una serie di motivi sociali abbiamo inibito o alterato questi interruttori neurofisiologici di specie , l’educazione è stata depauperata del potere affettivo, c’è stata la dominanza della competenza prestazionale. Ma l’essere umano ha bisogno della relazione affettiva, se non mi posso fidare di te che sei il mio magister, si vanno ad esasperare le funzioni fredde e si genera un malessere. Aver sottostimato il malessere psichico ci ha reso completamente aperti su un fianco».

La soluzione? Non un’ora o due di «nuove nozioni prestazionali e fredde che non ridarebbero equilibrio», non un professore che arrivi in classe con le schede sulle emozioni, «ma piuttosto un piano di formazione profonda per i docenti», che consenta in tutte le fasi dell’educazione di recuperare quella dimensione affettiva di cui l’essere umano ha bisogno: «Se lo sai, non è che lo senti; se sai la parola gioia, non vuol dire che ti senti felice, se sai che vuol dire la parola rispetto, non vuol dire che sai rispettare». «Ora è il tempo di costruire un cambio di visione- conclude Lucangeli – non siamo pezzi staccati, siamo in un flusso di reciprocità, dalla famiglia al sistema civile, il futuro di ogni figlio va sentito come risorsa, e non a caso vediamo che i docenti che hanno risultati sono quelli che sono affezionati ai ragazzi. Il bene è una risorsa del cervello, non una debolezza dll’umano. L’educazione sentimentale non può essere un’etichetta come una materia che si apprende a memoria, e quelli a cui viene affidata devono avere la capacità di accendere il fuoco, non mettere il cerino nella scatola».