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Riportiamo l’intervista del sito dirittopenaleuomo.org ad Alfio Maggiolini, in cui illustra il suo punto di vista professionale sul tema dell’imputabilità del minore, a partire dagli spunti offerti dalle recenti iniziative legislative volte ad abbassare l’attuale soglia di età – 14 anni – prevista per l’imputabilità penale.

Dal Suo punto vista professionale, ritiene che sia sensato abbassare la soglia di imputabilità penale del minorenne autore di reato da 14 anni (soglia attuale) a 12 anni? Perché?

L’idea che sia opportuno abbassare l’età imputabile può essere basata su alcuni presupposti:

L’anticipazione dell’ingresso nella pubertà degli adolescenti di oggi.
La conseguente maggiore maturità, che li rende più responsabili del loro comportamento.
L’aumento dei reati commessi da minorenni, in particolare da preadolescenti.
L’utilità di un intervento precoce del sistema penale con i preadolescenti.
Discuto brevemente questi presupposti dal punto di vista della psicologia dello sviluppo, con particolare riferimento ai concetti di responsabilità e imputabilità, alla diffusione dei reati degli adolescenti e agli interventi efficaci sui comportamenti antisociali dei minori.

Una riflessione preliminare sul concetto di imputabilità da un punto di vista di psicologia dello sviluppo: l’imputabilità è correlata al riconoscimento della responsabilità, che prima di essere un concetto giuridico è un concetto relazionale, un modo di descrivere reciproche aspettative nelle relazioni sociali. Responsabilità, infatti, significa “rispondere” delle conseguenze dei propri comportamenti. È quindi un impegno nelle relazioni sociali.

Da un punto di vista evolutivo, già nei primi anni di vita un bambino ha un senso di responsabilità del proprio comportamento. Ha la capacità, infatti, di capire le conseguenze dei propri comportamenti sugli altri e di provare senso di colpa. Questa capacità è basata sulla percezione di essere un soggetto agente e non solo sull’autocontrollo e nemmeno sulla libertà del volere. Quando un bambino vede che un suo comportamento provoca una reazione in un genitore, sente che questa reazione è una risposta al suo comportamento e se compie un’azione riprovevole può provare senso di colpa. I genitori, che sono consapevoli di questa capacità, possono rimproverare un figlio per i suoi comportamenti inadeguati. Lo considerano, quindi, educativamente responsabile e “imputabile”, cioè meritevole di eventuali sanzioni.

Attorno ai sette anni c’è un passaggio evolutivo importante in questa dinamica, perché un bambino incomincia non solo ad essere consapevole delle conseguenze delle sue azioni sugli altri, ma anche ad essere in grado di assumersi impegni. I sette anni sono un turning point e nel cervello dei bambini, a partire da questa età, si stabilisce una rete di regioni cerebrali connesse, che favorisce una migliore distinzione tra stati fisici e intenzionali, una più complessa comprensione dei ruoli e un maggior senso di agency. In età di scuola elementare un bambino può essere rimproverato e punito non solo per quello che ha fatto, ma anche per quello che ci si aspettava che facesse e che non ha fatto.

All’ingresso in adolescenza, nell’età delle scuole medie, ci sono altri importanti cambiamenti. In preadolescenza non cambia solo il corpo, con la maturazione sessuale, ma anche il cervello. Si avvia, infatti, un importante processo di maturazione, in una prima fase di aumento di connessioni sinaptiche tra i neuroni e, in una seconda fase, nell’adolescenza vera e propria, di potatura o sfoltimento sinaptico – in cui vengono eliminate dal cervello le connessioni meno importanti o poco utilizzate – e di mielinizzazione – in cui gli assoni delle vie neurali importanti vengono ricoperti da una guaina isolante, la mielina, che li rende più veloci ed efficienti. Questo processo di maturazione cerebrale non è limitato agli anni della pubertà, ma si completa dopo i vent’anni. Questi cambiamenti cerebrali, accanto a quelli ormonali, danno ragione della maggiore reattività emotiva e impulsività degli adolescenti, soprattutto nella prima adolescenza, perché maturano prima le aree limbiche del cervello, che riguardano le emozioni e gli impulsi, e solo più tardi quelle neocorticali, deputate al controllo. Passare dall’eteroregolazione da parte degli adulti all’autoregolazione comporta facilmente una fase di disregolazione, che non riguarda le capacità cognitive, ma i criteri di valutazione delle azioni. Per esempio, un adolescente è in grado, come un adulto, di valutare le conseguenze rischiose di un certo comportamento, ma può usare diversi criteri di valutazione, soprattutto quando è in gruppo. Può quindi prevalere l’idea che un comportamento rischioso sia un segno di coraggio, con conseguente riduzione dei freni inibitori. La capacità di prendere decisioni a freddo e individualmente, ovvero a caldo e in gruppo, sono più divergenti negli adolescenti che in un adulto.

I dati che provengono dagli studi sullo sviluppo degli adolescenti hanno influenzato gli orientamenti della giustizia minorile nel senso di riconoscere una “naturale immaturità” degli adolescenti. Anche a partire da questi dati la Suprema Corte degli USA nel 2005 (caso Roper vs Simmons) ha abolito della pena di morte per i minori di 18 anni.

In sintesi, anche se fin da bambini si è in grado di provare senso di colpa, di capire il valore delle proprie azioni e le conseguenze dei propri comportamenti sugli altri, è solo intorno ai vent’anni che si raggiunge una piena maturità cerebrale. Questa maturità è parallela alla progressiva acquisizione di un’identità sociale, che si sviluppa dal bambino all’adolescente fino al giovane adulto, quando all’individuo viene riconosciuto uno status di adulto, con diritti e doveri sociali e non più solo famigliari e interpersonali. La responsabilità sociale è parallela al riconoscimento dell’identità sociale.

Nell’ultimo secolo c’è stata un’anticipazione significativa della maturazione puberale, definita appunto “tendenza secolare”. Alla metà del 1800 l’esordio puberale era tra i 15 e i 16 anni, mentre attualmente per la maggior parte delle ragazze si situa a ridosso dell’ingresso nelle scuole medie (12 anni circa). Lo sviluppo dei maschi ha lo stesso andamento, con un ritardo di uno-due anni.

Questa anticipazione della pubertà, tuttavia, non comporta necessariamente una parallela anticipazione di maturazione e di comportamenti adulti. L’attuale generazione di adolescenti, i cosiddetti “nativi digitali”, è caratterizzata da una tendenza al ritiro sociale più che all’esternalizzazione dei comportamenti impulsivi e trasgressivi. I giovani d’oggi sono meno ribelli, più infelici e tendono a ritardare le tappe di ingresso nel mondo adulto invece di anticiparle. Negli Stati Uniti, negli ultimi vent’anni sono diminuite le gravidanze precoci, il debutto sessuale è posticipato, e gli adolescenti hanno meno partner sessuali. C’è quindi un rallentamento e non un’accelerazione dello sviluppo, nonostante l’anticipo della pubertà, negli adolescenti di oggi (Twenge, 2018).

L’ingresso anticipato nella pubertà, quindi, non ha aumentato la maturità degli adolescenti, mentre si è allungato il periodo in cui gli adolescenti sono esposti alle possibili conseguenze derivanti dall’immaturità cerebrale.

I comportamenti trasgressivi, soprattutto dei maschi, sono tipici degli adolescenti, in ogni epoca. La curva dei reati mostra che sono più frequenti i reati negli adolescenti e nei giovani adulti, con un calo nelle fasi successive del ciclo di vita. L’adolescenza, quindi, di per sé è un fattore di rischio per i comportamenti trasgressivi. Il passaggio da queste caratteristiche fisiologiche a un disturbo antisociale di personalità e alla commissione di reati è frutto della combinazione di diversi fattori di rischio, temperamentali, famigliari, sociali e culturali (Maggiolini, 2014).

Se gli adolescenti sono per natura più impulsivi e quindi a rischio di commettere reati, qual è l’andamento dei reati minorili negli ultimi decenni? In realtà i reati degli adolescenti sono significativamente diminuiti nel corso dell’ultimo decennio a livello internazionale. La diminuzione arriva al 50% in alcuni paesi tra gli adolescenti di età compresa tra i 14 e i 15 anni e al 65% tra i preadolescenti di 12-13 anni. Il fattore che spiega maggiormente la diminuzione dei reati minorili è la diffusione di internet e degli smartphone. Da notare che la riduzione è tanto maggiore quanto più i ragazzi sono giovani (Berghuis, De Waard, 2017). La “rete”, quindi, non è un fattore di rischio per i comportamenti impulsivi e per la commissione di reati e non c’è un’emergenza dei reati in rapporto all’età.

In sintesi, anche se gli adolescenti odierni hanno un ingresso nella pubertà precoce rispetto a quello dei minori di cent’anni fa, il loro percorso di maturazione non è accelerato. Vi sono, all’opposto, diversi indicatori che i “nativi digitali” stiano rallentando la crescita, invece di accelerarla, e diminuendo i comportamenti a rischio. La riduzione dei reati minorili nel mondo occidentale riguarda tutti i reati ed è più accentuato proprio nella prima parte dell’adolescenza. Una spiegazione è che gli adolescenti stiano riversando nel mondo virtuale esigenze di costruzione dell’idea di sé e della propria identità sociale e che questo passaggio riduca la ricerca di affermazione di sé messa in atto attraverso comportamenti anche impulsivi e di prevaricazione. Almeno per il momento, questo passaggio comporta una riduzione dei reati che non sono compensati da un aumento di reati in rete.

L’abbassamento dell’età imputabile non può essere quindi giustificato da considerazioni evolutive, ma eventualmente da ideologie sociali ed educative o da una logica di risposta sociale a problemi di comportamento dei preadolescenti.

L’imputabilità in questo caso non dovrebbe essere accertata, ma sarebbe presupposta. In effetti non è facile accertare l’imputabilità, soprattutto in relazione alla maturità/immaturità e non solo in relazione alla normalità/patologia. Poiché l’accertamento dell’imputabilità è correlato alle capacità di intendere e volere, dovremmo disporre di criteri operativi per accertare queste capacità. In realtà è difficile tradurre operativamente la capacità di intendere e volere, soprattutto in una prospettiva evolutiva. Uno strumento, il Risk Sophistication Treatment-Inventory (RST-I), per esempio, valuta l’immaturità attraverso la capacità dell’adolescente di essere autonomo, di capire le norme (capacità cognitive) e di identificare azioni alternative a quelle compiute (maturità emotiva) (Salekin, 2004).

In una prospettiva di interazione sociale, l’imputabilità non coincide con la valutazione delle caratteristiche di maturità o immaturità individuali. Si può dire, quindi, che nel quadro delle relazioni sociali, l’imputabilità di un adolescente è l’espressione del livello in cui la società stessa ne riconosce l’identità sociale. Da questo punto di vista, il fatto che non si consenta ad un dodicenne né di votare, né di firmare contratti, o di avere la patente, conferma la percezione della sua immaturità sociale. Il dibattito sull’abbassamento dell’età imputabile, per essere credibile, dovrebbe essere accompagnato, quindi, da una parallela discussione sul riconoscimento anticipato di diritti del preadolescente, un tema che non è all’ordine del giorno.

Nel caso in cui la proposta dovesse tradursi in legge, quali sono, dal punto di vista scientifico, i possibili rischi o, viceversa, i vantaggi della sua entrata in vigore?

Le meta-analisi sugli interventi con i minori autori di reati condotte negli Stati Uniti e in Europa dimostrano l’utilità, con adolescenti autori di reati, di interventi orientati al supporto educativo e psicosociale. Gli interventi ispirati a una logica punitiva e di deterrenza, invece, sono iatrogeni. L’ingresso precoce nel sistema penale dei minori rischia di fornire loro un’identità deviante, etichettandoli come delinquenti, con il possibile aumento, invece di una riduzione, della recidiva.

In Italia il codice penale minorile (d.P.R. 448/88) non è ispirato a una logica punitiva, ma riparativa ed evolutiva. La messa alla prova, misura centrale del sistema penale minorile italiano, in cui il tribunale rinuncia alla colpevolizzazione e alla sanzione penale in nome di obiettivi di sviluppo e responsabilizzazione, è efficace. Nell’80% dei casi ha esito positivo e riduce del 10% il rischio di recidiva nei tre anni successivi (Totaro, 2015).

I risultati di una ricerca condotta presso l’USSM di Milano, tuttavia, mostrano che tra i fattori di rischio di insuccesso della messa alla prova ci sono la giovane età dei minori e le situazioni famigliari multiproblematiche, che pesano più di altre caratteristiche come il tipo di reato e la differenza tra minori italiani e stranieri (Locatelli, di Lorenzo, Maggiolini, 2019). Responsabilizzare un preadolescente attraverso la messa alla prova, soprattutto in situazioni famigliari a rischio, rischia quindi di essere controproducente. Un’anticipazione dell’età imputabile, in assenza di cambiamenti del codice di procedura penale minorile, allo stato attuale si tradurrebbe molto probabilmente in un elevato numero di preadolescenti inseriti in comunità educative di accoglienza.

Eventuali suggerimenti in proposito?

Con i preadolescenti sarebbero utili interventi psicosociali, rivolti alla famiglia, alla scuola e al quartiere, e non solo al preadolescente, che ne prevedano l’allontanamento dalla famiglia. Ci sono interventi di prevenzione molto efficaci nella prima infanzia. Sono interventi domiciliari nei primi due anni di vita di supporto ai genitori (home visiting) con famiglie a rischio, che mantengono la loro efficacia anche a decenni di distanza, fino alla fine dell’adolescenza (Olds et al., 2007). Sarebbero utili interventi simili anche con i preadolescenti, secondo il modello multisistemico, che ha dimostrato una grande efficacia anche in situazioni gravi e con interventi che combinino counseling e supporto educativo alla famiglia (Hengeller et al., 2012). In situazioni meno gravi sono utili anche gruppi di sostegno alla genitorialità (Kazdin, 2008).

Tenendo conto dell’ancora elevato livello di dipendenza dei preadolescenti dalla famiglia, l’azione del Tribunale per i Minorenni nei confronti dei minori con disturbi del comportamento dovrebbe, dunque, essere orientato ad intervenire non solo sul minore, ma anche e soprattutto sulla famiglia e sugli altri contesti di sviluppo, scuola e quartiere.

In sostanza il sostegno allo sviluppo della responsabilizzazione dell’adolescente deve essere accompagnato da un parallelo processo di responsabilizzazione degli adulti, a livello famigliare, scolastico e sociale. L’anticipazione dell’età imputabile non sarebbe altro che un modo per togliere responsabilità agli adulti.

Fonte: dirittopenaleuomo.org