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Riportiamo l’articolo di Orsola Riva pubblicato su Corriere.it con l’intervista a Laura Turuani sul ruolo materno nell’educazione dei figli.

«Amore, sono le sette meno dieci. È ora di alzarsi». «Giorgio, porca miseria: sono le sette e dieci e non ti sei ancora alzato. Ma quando diventerai grande?». Scene di ordinaria disfunzionalità familiare. Ma chi l’ha detto che debba andare così? Perché non provare a mettergli una sveglia sul comodino in modo che tocchi a loro, ai nostri figli, dire: devo alzarmi o farò tardi a scuola? Questo e altri suggerimenti di ordinario buon senso sono contenuti in un post di una mamma blogger inglese — Amy Carner, tre gemelli maschi e una femmina, tutti teenager, e un bimbo adottivo di 10 anni — dal titolo programmatico: «Otto cose che i vostri figli devono imparare a fare da soli prima dei 13 anni». Oltre alla sveglia, Carney suggerisce: di non preparargli la colazione, non correre a scuola a portargli il quaderno dimenticato a casa, fargli riempire i moduli che li riguardano, insegnargli a fare una lavatrice da soli (cominciando, magari, con le cose della piscina per evitare danni maggiori, ndr!), non stargli troppo addosso con i compiti e non mettersi in mezzo fra loro e i prof. Il presupposto è semplice: come possiamo farne degli adulti competenti e responsabili se ci sostituiamo continuamente a loro?

Faccio prima, faccio meglio
«La prima cosa che dovremmo cercare di combattere è il mito del “faccio prima, faccio meglio” — dice Laura Turuani, psicologa del consultorio per adolescenti Il Minotauro —. A cosa serve fargli rifare il letto se poi lo risistemate meglio voi? Le prime prove di autonomia non possono che essere goffe. Impariamo a non demonizzare le imperfezioni dei nostri figli. A lodare lo sforzo. Il rischio altrimenti è di farne dei perfezionisti terrorizzati dalla paura di sbagliare. E questo in ultima istanza porta al disinvestimento, a non provarci nemmeno». Gli eterni bamboccioni, gli sdraiati non sono che l’altra faccia di una società di adulti ultra prestazionali che non sanno educare al fallimento, a cadere per poi rialzarsi come quando si impara ad andare in bici.

Meno parole, più paletti
«Il problema sono le super-mamme che non vogliono rinunciare alla cura dei figli», taglia corto il pedagogista Daniele Novara. Che poi precisa: «Le fredde mamme inglesi avrebbero molto da imparare dalle nostre nell’educazione dei più piccoli. Ma quando diventano degli adolescenti, allora siamo noi a dover andare a lezione da loro. Ragazzi e ragazze di 13 anni e più che ancora dormono nel lettone. Nelle coppie separate è la norma. Ma le pare possibile?». In questa fase di sviluppo i padri dovrebbero diventare centrali. «Le madri — sostiene Novara — tendono a voler convincere i figli a parole e a imbarcarsi in discussioni infinite. Sta ai papà imporre dei paletti, un sistema di regole all’interno del quale poi trovare spazi di negoziazione». Un esempio? La paghetta che fissa un limite di spesa entro il quale stare. «Invece la maggior parte dei genitori preferisce comportarsi da bancomat».

No ai divieti, sì alle coccole
Ma attenzione: se i limiti sono indispensabili, divieti e punizioni sono controproducenti. Non hai riordinato la camera? E io ti tolgo la Playstation. Errore. «Le cose bisogna imparare a farle non come una pena, ma perché danno soddisfazione. Mandare vostro figlio in posta lo fa sentire utile — spiega Turuani —. Fargli pulire la stanza per punizione no». Una volta che avrà imparato a prepararsi e a uscire per andare a scuola, c’è ancora spazio per la tenerezza. «La mattina che piove, se la mamma ti dice “Ti do uno strappo in auto”, quella è una coccola positiva», concede Turuani.