Seleziona una pagina

Condividiamo l’articolo di Maria Novella De Luca con l’intervista a Matteo Lancini per Repubblica.it.

“Buio, buio e ancora buio. Ero inerte, una cosa morta. L’unica parte viva del mio corpo era il sangue che guardavo uscire dalle mie ferite. Sapete dove spingevo la lametta? Nella parte alta delle cosce. Quel punto è sempre coperto. Me l’aveva insegnato un’amica. Anche lei stava male. Mi ferivo, la pelle bruciava e trovavo pace. Poi mia madre se n’è accorta, eravamo al mare, a Sorrento, l’unica volta in cui avevo messo il costume. Quel giorno tutto è finito, anzi è cominciato. Grazie a lei. Mi sono curata. Sono guarita. Sono qui e non sottoterra”.

Parole crude, parole dure. Francesca B. aveva 16 anni, oggi ne ha 20, racconta il suo buio, perché, dice, “possa diventare luce per tante ragazze disperate come lo ero io, quando preferivo il dolore del sangue a quello della mia mente”. Un ricovero in un grande ospedale napoletano, i farmaci, la psicoterapia, un lento ritorno alla serenità.

“Il 70% dei giovani e giovanissimi che arrivano al nostro pronto soccorso ha compiuto atti di autolesionismo o tentativi di suicidio. E il 90% sono ragazze”, avverte il professor Stefano Vicari, primario di neuropsichiatria del “Bambino Gesù” di Roma. Non si stanca Vicari di ripetere quanto sia grave l’emergenza, di spiegare che qualcosa è accaduto tra le figlie e figli della “Generazione Z”.

Un detonatore chiamato Covid

Cosa si è rotto, anzi scassato? Cosa è questa “esplosione” di disturbi mentali più o meno gravi che dal mondo scientifico alla scuola, dalle famiglie ai ragazzi stessi, l’intera società denuncia? Il Covid certo, la sua “onda lunga”, detonatore però, si è capito, di un malessere che già c’era e infatti oggi continua a crescere. Ansia generalizzata, massificata, depressione, l’epidemia di disturbi alimentari, la rabbia di ragazzini che spaccano tutto, devianza, il fenomeno dilagante del “cutting”, vuol dire tagliarsi, lo faceva Francesca, che pure a scuola era la prima di tutti e non sopportava però “di essere meno della perfezione, non mi sentivo mai abbastanza brava, abbastanza magra, abbastanza amata”.

“Dall’inizio della pandemia abbiamo registrato il 40% in più di accessi al nostro Pronto soccorso. Ma ciò che forse è più preoccupante – sottolinea con gravità Vicari – è che questa percentuale non accenna a diminuire, anzi aumenta, dobbiamo parlarne, senza paura di effetti emulativi e moltiplicatori, più ne parliamo più gli adolescenti capiranno che possono chiedere aiuto. Perché i disturbi mentali si curano”.

L’Oms indica il suicidio come seconda causa di morte tra i teenager tra i 15 e i 25 anni, mentre in Italia “quasi 2 milioni di bambini e ragazzi sono colpiti da disturbi neuropsichici dell’età evolutiva”, i dati sono della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Un numero enorme. Il 20% della Generazione Z, l’etichetta è vecchia ma serve a identificare un gruppo, i nati tra il 1997 e il 2012, vuol dire che i più grandi hanno 25 anni, gli altri sono ancora bambini.

Stare bene è un diritto

Con ironia e consapevolezza si sono auto-diagnosticati una nuova patologia, la eco-ansia, nei giorni della pandemia durante le manifestazioni innalzavano cartelli con la scritta “sto male, voglio lo psicologo a scuola”, perché oltre allo studio, al lavoro, al salario minimo, “anche la salute mentale è un diritto”. Ci vuole coraggio a dichiararsi fragili, loro lo hanno fatto. “Spesso il male di vivere ho incontrato” è l’incipit abusato e strattonato quanto mai di una poesia di Eugenio Montale, eppure nulla come questa frase identifica da decenni seppure in modo letterario quella sofferenza che nasce da dentro, a volte la causa è nota, a volte no, a volte ha un nome, a volte no.

“Le malattie mentali sono multifattoriali”, dice Vicari, “ci può essere una predisposizione genetica che se incontra un ambiente a rischio si manifesta”. Ambiente a rischio vuol dire un humus giovanile dove “il consumo di droghe e alcol non è mai stato così alto, la dipendenza da social una piaga nuova, in una società che fin dalla scuola chiede ai ragazzi soltanto competizione e prestazione. La politica ha enormi responsabilità verso i giovani, le famiglie stesse si sentono fragili senza più la forza di educare, di dire ai propri figli che non è necessario vincere per essere amati, Pasolini lo chiamava educare alla sconfitta”.

Ansia da prestazione è il refrain del malessere, non a caso gli studenti scesi in piazza contro la “scuola del merito” del ministro Valditara e del governo di Destra, lo hanno detto con chiarezza, “not in my name, noi vogliamo imparare non gareggiare”.

La caduta di Chiara su una rete sostenibile

Poi c’è Chiara D., di anni ne ha 21, è cresciuta a Cassolnovo, vicino a Pavia, studia a Venezia all’Accademia di Belle Arti, vuole fare la costumista per il teatro e il cinema. Alla sua crisi è riuscita a dare un nome, ne ha identificato un inizio, grazie al sostegno dell’associazione “Soleterre” che dal Covid in poi ha creato per gli adolescenti una rete di 600 terapeuti che seguono i ragazzi a prezzi sostenibili.

“Era la primavera del 2020, mentre il mondo si fermava anche la mia vita andava in pezzi”, ricorda Chiara. “Durante il lockdown è come se avessi smesso di respirare, ero abituata a fare mille cose, scuola, sport, corsi di tutti i tipi, di colpo mi sono ritrovata ferma nella mia stanza, sola, senza contatti, se non i miei genitori. La vita di fuori mi mancava terribilmente, contavo i giorni della quarantena, invece quando le porte si sono riaperte da quella mia prigione non riuscivo più ad uscire. Ero terrorizzata”.

Attacchi di panico e depressione. Come se la libertà, dopo la clausura, fosse qualcosa di inafferrabile, anzi spaventoso. “Avevo costantemente la nausea, la diarrea, il mal di testa, vomitavo, ad ogni visita i medici dicevano però che non c’era nulla di organico. L’anno della maturità ho finalmente accettato di farmi curare, la mia ansia si è placata, sono riuscita a diplomarmi, ho anche vinto una borsa di studio per Malta. Oggi sono a Venezia, esattamente dove volevo essere, ma lontana dalla famiglia la sensazione di angoscia è tornata. Ho richiamato il mio terapeuta, perché comunque nella mia vita è successa una cosa bellissima: non mi vergogno più di chiedere aiuto”.

Damiano Rizzi, psicologo e fondatore di “Soleterre”, associazione che promuove il diritto alla salute, lavora con la sua équipe nei reparti di pediatria e oncologia pediatrica del policlinico “San Matteo” di Pavia. “Il nostro progetto di psicologia sostenibile e in certi casi gratuita sarebbe dovuto terminare con la fine della pandemia. Invece non è stato possibile, le richieste d’aiuto aumentavano di giorno in giorno, così la nostra rete di operatori si è allargata sempre di più. La salute mentale non può essere un lusso per pochi, oggi negli ospedali ci sono 2,8 psicologi ogni centomila abitanti, dovrebbero essere uno ogni mille, stessa percentuale nei consultori, così dice l’Istituto superiore di sanità. L’80% dei giovani con disturbi mentali non trovano risposta nelle strutture pubbliche, questo vuol dire che la maggioranza dei ragazzi e delle loro famiglie restano soli”. Quattrocento posti letto nelle neuropsichiatrie di tutta Italia, ne servirebbero il triplo, servizi territoriali smantellati, l’unica strada la sanità privata.

Giorgio Trani è un padre che non nasconde il suo tormento. Al telefono ha la voce stanca. “Avete visto la serie Netflix Tutto chiede salvezza? Mio figlio stava come quel ragazzo, dopo anni di abuso di sostanze. Quante volte ha picchiato me e mia moglie. Aveva 16 anni e si è dovuto tagliare le vene perché finalmente lo ricoverassero”. Ora P. è in una comunità e inizia a rivedere la luce.

Se ogni cosa è inadeguata

I disagi mentali hanno mille forme e diverse forme di gravità. Ma la domanda torna: da cosa nasce questa fragilità? Ragiona Rizzi: “Ci siamo aggrappati al Covid per trovare una spiegazione, c’è la guerra in Ucraina, il cambiamento climatico, ma non basta, perché il Covid è passato ma gli adolescenti continuano a stare male. Il sintomo più comune che osservo nei miei pazienti è il senso di inadeguatezza, come se non si sentissero in grado di soddisfare le aspettative che il mondo adulto ha nei loro confronti”. A cominciare dai genitori che su quei figli unici, dal tempo ossessivamente pieno di prestazioni fin dall’infanzia, hanno rovesciato una valanga contraddittoria di desideri. “Mica qualcuno ti insegna a fare il genitore – dice però amaro Giorgio – noi a P. abbiamo cercato di dare tutto, per lui c’eravamo sempre. Ma in lui c’è una fragilità congenita, una tendenza alla depressione che lo ha spinto a cercare lo ‘sballo’ a tutti i costi. E la sua mente non ha retto. I medici ci hanno detto però che si è salvato perché è sempre stato certo del nostro amore”.

Travolti a pelle nuda

Daniela Lucangeli è professoressa di Psicologia dello sviluppo all’Università di Padova. Sostiene che il Covid ha fatto come il mare in tempesta, “che porta a galla tutto quello che c’è sul fondo, detriti, immondizia, rottami”. Parafrasi degli abissi del nostro malessere nascosti sotto la sabbia. (Magari anche qualche perla però). Lucangeli prova a spiegare: “La differenza tra questa generazione e quelle precedenti è che i ragazzi di oggi esauriscono precocemente le loro risorse di sopportazione del dolore dell’esistenza. Il dolore è una condizione inevitabile dell’essere umano, fino a ieri però questo esaurimento di risorse avveniva in età adulta, quando si hanno le strutture psichiche per non perdere l’equilibrio, adesso arriva nell’adolescenza, perché tutto è accelerato, non però lo sviluppo emotivo dei ragazzi”. Travolti a pelle nuda, secondo il pensiero di Lucangeli.

Rompere il silenzio

Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro, allo smarrimento dei ragazzini nell’età che lui definisce “della fragilità adulta” ha appena dedicato un libro dal titolo Sii te stesso a modo mio. “La pandemia ha aiutato gli adolescenti a poter dire: sto male. È questa la rivoluzione. Sembrerà un paradosso ma è un dato positivo. Ho pazienti che arrivano da me felici di fare terapia. Non era mai successo. Il loro disagio oggi si esprime con più fattori, non uno soltanto, penso alle ragazze anoressiche che oltre a digiunare si tagliano, ai ragazzi che si autorecludono, tutti soffrono di ansia. I tentativi di suicidio sono davvero un’emergenza. Perché? C’è un vuoto di identità, un’assenza di prospettive, il lavoro, la guerra, la povertà e un mondo adulto che non riesce più a dare risposte. È questo ciò che dicono i teenager: ‘Soffro, non ce la faccio, è troppo, il confronto mi schiaccia, ho paura, il mondo è terribile’. Ma tutto viene patologizzato e psichiatrizzato. Guardate la scuola: di fronte all’incapacità di gestire gli episodi di violenza, di bullismo o semplicemente l’irrequietezza di un contesto giovanile, si punta sulla repressione. Sei in condotta, bocciature. Non servirà, acuirà l’aggressività. Invece servono relazioni. Quello che mi sento di dire ai genitori è di rompere il silenzio. Chiedete ai vostri figli come stanno, come si vedono allo specchio, se pensano al suicidio e se hanno paura di ferirvi. Una volta aperta la breccia il resto viene”. Ed è l’inizio della guarigione.