Condividiamo l’articolo di Chiara Nardinocchi con l’intervista a Matteo Lancini per Repubblica.it
Nella differenza tra ascoltare e comprendere risiede la distanza tra adulti, spesso genitori e adolescenti che lontani dagli stereotipi ribelli dei decenni passati, sono molto più consapevoli di sé e hanno una gran voglia di parlare e condividere.
Per cercare di avanzare nella complessità del dialogo tra generazioni è prima necessario lasciarsi alle spalle il pregiudizio che descrive gli under 18 schiavi dei social, relegati in un mondo di rapporti superficiali e poco consapevoli del mondo.
Il paradosso dell’ascolto è ben visibile dal risultato della ricerca “Come stai?” di Istituto Demopolis e Impresa sociale Con i bambini. Gli amici restano i principali confidenti, ma il 43% dei ragazzi afferma che in caso di problemi ne parlerebbe principalmente con i genitori. Una percentuale che però si scontra con quel 54% di teenager che reputa vera l’affermazione “Oggi gli adulti capiscono sempre meno i ragazzi”.
Il dato di partenza è dunque che i ragazzi, a differenza dei decenni passati manifestano la necessità di essere ascoltati. “L’adolescente del passato – afferma Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta presidente della Fondazione Minotauro – non voleva essere capito dagli adulti, voleva ribellarsi a una società fortemente sessuofobica che fin dall’infanzia non prendeva in considerazione i suoi bisogni. Mentre oggi gli adolescenti hanno ben presente la complessità emotiva, vogliono essere pensati e compresi”. E le richieste di comprensione sono accolte da famiglie e scuole che mai come in questi anni hanno fatto dell’ascolto e dell’attenzione uno dei cardini dell’interazione con studenti.
Allora cos’è che non funziona? La propensione all’ascolto degli adulti resta in superficie, facilmente infantilizza i giovani interlocutori e scoraggia quindi la condivisione e la comprensione di cosa accade nella vita dei più giovani. Ma non finisce qui.
“Noi chiediamo ai nostri figli e ai nostri studenti di riconoscere la nostra volontà di capirli, ma non siamo in grado di ascoltare che cosa vuol dire oggi crescere in una società complessa, fortemente competitiva e narcisistica che noi abbiamo creato rifiutandoci di parlare dei loro dolori, dei loro inciampi, dei loro fallimenti”, aggiunge Lancini che su questo argomento ha scritto diversi volumi, l’ultimo in ordine di tempo dal titolo Sii te stesso a modo mio. Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta.
Due fattori alimentano questa incomprensione. Il primo è, come anticipato all’inizio, l’idea che la distanza generazionale sia causata dai cambiamenti sociali, soprattutto tecnologici degli ultimi anni.
La tentazione di addossare a videogiochi, social e internet nella sua accezione più generalizzata la colpa di pressoché tutti i malesseri delle nuove generazioni è aumentata soprattutto all’indomani della pandemia. Ma a guardare le ricerche di settore si nota come alcune tendenze acutizzatesi durante il lockdown erano già presenti molto prima che arrivasse il Covid 19.
“L’ansia generalizzata – afferma Lancini – così come per le ragazze il disturbo della condotta alimentare e per i ragazzi il ritiro sociale erano in aumento già da una decina d’anni. La pandemia ha solo tolto un velo, perché in alcune situazioni ha consentito ai ragazzi di dire che stavano male. E noi che abbiamo fatto? Invece di focalizzarci sulle cause e sui modelli genitoriali e scolastici che proponiamo, abbiamo additato internet e la pandemia come i grandi colpevoli in modo da poter dormire sonni tranquilli”.
“C’è bisogno di un’alfabetizzazione emotiva degli adulti, di reintrodurre concetti come morte e fallimento all’interno delle discussioni, creare un ambiente familiare e scolastico che faccia le domande giuste”. Ma quali sono queste domande? I dati affermano che parlare con i ragazzi di suicidio abbassa il fattore di rischio, ma anche interrogarli sulla percezione del loro corpo o su come si muovono negli ambienti digitali potrebbe aprire spiragli di contatto importanti.
“Bisogna avere la capacità di parlare della vita, del corpo, della morte: aspetti che oggi sono i grandi rimossi in una società che continua a spettacolarizzare il dolore e lo rimuove ogni giorno senza vergogna – conclude Lancini – non rendendosi conto che poi davanti al senso di fallimento e all’impossibilità di parlarne i ragazzi reagiscono se va bene sentendosi incompresi, ma se va male sviluppando disturbi della condotta alimentare femminile, o con la sparizione sociale per i maschi, non a caso abbiamo una dispersione scolastica senza precedenti. I tagli e i tentativi di suicidio sono le modalità di esprimere il disagio più diffuse insieme all’ansia generalizzata. Ma che ansia è? Un’ansia di assenza di prospettive future, di incomunicabilità, bel lontana dai sorrisi social e dall’ostentazione della felicità. Parliamo di quell’emozione umana che loro hanno e cercano in tutti i modi di esprimere”.