Condividiamo l’articolo di Paola Centomo con il contributo di Elena Buday per Io Donna.
“Evitare di stare un passo avanti ai figli”
Elena Buday Psicoterapeuta dell’adolescenza presso l’Istituto Minotauro di Milano
«Avverto tra i genitori intensa preoccupazione rispetto al futuro dei figli. I ragazzi respirano quest’ansia e spesso la fanno propria: sentono di dover azzeccare le scelte giuste. In questa diffusa apprensione, può accadere che si rischi di precocizzare il percorso vocazionale dei figli: il genitore che coglie certe attitudini o capacità accennate nel bambino può persino leggervi una sorta di disegno vocazionale, creando involontariamente aspettative. Dall’altra parte, il figlio stesso può sentire pressione nell’assecondare le aspettative dei genitori. Il rischio, insomma, è che si saturi troppo presto quel percorso di sperimentazione che, al contrario, deve essere la crescita, che è fatta anche di spazi di incertezza, di sbagli, di conquiste che vanno di continuo messe alla prova.
È importante, poi, ricordare che ogni percorso, anche il più disastrato, può contenere snodi di crescita incredibili. Lo dice bene lo scrittore Daniel Pennac in Diario di scuola: guardate che i vostri figli “stanno ancora diventando”. Pennac racconta che da studente era “un somaro” e che sua madre era convinta che il suo fallimento a scuola fosse una predizione del suo futuro adulto, risoltosi assai diversamente. Ecco, mettersi ai margini del percorso di crescita dei figli rinunciando, cosa quanto mai difficile, a prevederne gli sviluppi futuri, restando in ascolto e infondendo fiducia, anche quando le loro idee non corrispondono alle nostre: è il compito dei genitori, di fronte al bisogno dei ragazzi di sperimentare, perché solo così potranno conoscersi ed eventualmente correggersi».
“Un posto ‘subito’ non sia l’unico criterio”
Roberto Pancaldi Managing Director di Mylia, brand del Gruppo Adecco che si occupa di formazione e sviluppo per individui e aziende
«Dalla mia esperienza constato che ci sono percorsi scolastici e accademici che godono di una spendibilità professionale immediata: sono quelli, oramai assodati, in area tecnica e tecnologica. Un figlio che vi manifestasse interesse non può che essere incoraggiato, pur sapendo che dovrà riallineare le sue competenze agli impressionanti, continui cambiamenti a cui le professioni sono esposte. Allo stesso modo, esistono competenze che, se non aiutano a entrare nelle aziende, aiutano a restarci: per esempio, alcuni profili umanistici, come filosofia o lettere, o matematici, loro stessi da reinterpretare e aggiornare in continuazione.In ogni caso, deve essere chiaro che nessuno esce più dalla scuola superiore o dall’università con un lavoro in mano. Anche per questo, io consiglio di supportare i figli nel seguire le proprie inclinazioni di fondo, senza preoccuparsi troppo della loro spendibilità nel giro di qualche anno: il mercato evolverà in scenari ora imprevedibili.
Vorrei anche consigliare ai genitori – lo sono anch’io – di non proiettare sui figli la loro visione del lavoro: quello del guadagno come parametro assoluto o del sacrificio in nome della carriera è un modello finito. Tra i giovani si sta affermando un’idea inedita del lavoro: la molla economica e di crescita è importante anche per loro, ma la condizionano a un’azienda che metta in campo valori in cui credono o che assicuri equilibrio tra tempi professionali e personali».
Lorella Carimali Docente di matematica al Liceo Vittorio Veneto di Milano, scrittrice, tra i 50 migliori docenti al mondo per il Global Teacher Prize 2018
«Contando di aiutare i nostri figli a individuare percorsi di istruzione, spesso trasferiamo loro i nostri stereotipi inconsapevoli. Penso in primo luogo alla convinzione, smentita dalle neuroscienze, che nasciamo con un patrimonio intellettivo dato: le ricerche di Carol Dweck, psicologa e docente a Stanford, ci rivelano, piuttosto, che gli individui sono portatori di intelligenza incrementale, ovvero di capacità intellettive che le esperienze educative e le stimolazioni cognitive possono potenziare. Questo per dire che non esistono ragazzi portati in senso innato per l’istituto tecnico invece che per i liceo, per Lettere e però non per Matematica, ma ragazzi che, con gli stimoli giusti, possono accostarsi a molti ambiti.
Dobbiamo essere consapevoli di questi pregiudizi quando cerchiamo di aiutare i nostri figli, ma ancor di più le figlie, a scegliere l’indirizzo di studi. Carichiamo sulle ragazze i nostri stereotipi, infatti, quando non le riteniamo capaci quanto i maschi di realizzarsi nelle materie Stem e, in particolare, nella matematica, magari perché la consideriamo una materia complessa e dunque per pochi o una pura tecnica applicativa e non quell’avventura della mente, quella chiave di accesso a mondi possibili che la matematica è».
“Ridare spessore alla scelta universitaria”
Claudia Manzi Docente di Psicologia Sociale all’Università Cattolica di Milano
«Il Covid e la didattica a distanza hanno condizionato in molti studenti e nelle loro famiglie la percezione della formazione, distorcendola in una rincorsa al solo titolo di studi: gli sforzi sono rivolti in maniera stringente al conseguimento della laurea, puntando ad acquisirla con il minor sforzo e investimento di tempo possibile. Oggi più che mai si dimentica che, invece, formarsi all’università significa anche prendersi il tempo per nutrirsi, oltre l’aula, di incontri di alto livello, costruire relazioni significative, fare attività di valore: è questo lo spirito giusto con cui vivere l’esperienza universitaria, consapevoli del fatto che la laurea non basta più a un mercato del lavoro che richiede, giustappunto, spessore e una preparazione articolata. Su questo aspetto i genitori possono esercitare uno stimolo rilevante.
Un genitore che, in famiglia, è chiamato a offrire supporto nei percorsi di orientamento dovrebbe, a mio parere, anche riflettere sul rischio di proiettare parti di sé sul futuro dei propri ragazzi: si può,infatti, essere tentati dal voler realizzare nella vita dei figli quanto non si è riusciti a realizzare nella propria o desiderare inconsapevolmente di brillare della luce riflessa dei loro successi. Occorre che i genitori siano consapevoli di questi rischi, riconoscere lucidamente i figli come altro da sé e legittimarne il processo di differenziazione. In psicologia si parla di supporto all’autonomia. Supporto e autonomia sono solo apparentemente in contrapposizione: indicano l’esserci senza invadere il campo dei figli, consigliare, se richiesto, ma permettere che poi la scelta sia soltanto loro e accettarne fino in fondo le decisioni, anche quando procurano frustrazione e dolore perché deludono le aspettative».
“Allenare la capacità di visualizzare il futuro”
Massimo Ravasi Orientatore, counselor, coach e founder dell’organizzazione Orientare Oggi
«Per un genitore aiutare i figli a scegliere, oggi, significa sostenerli nello sviluppare il pensiero critico, ovvero le capacità di ricercare, analizzare, valutare. Ricercare è fondamentale: in situazioni complesse il cervello tende a considerare che quello che esiste è solo quello che gli occhi vedono, lasciando fuori dalla sua considerazione una moltitudine di opportunità.
Il genitore, al contrario, può sollecitare alla curiosità, evitando le scorciatoie e, anzi, ampliando il raggio di investigazione. Per ridurre il rischio dell’errore, occorre, poi, mettere in campo “i pensieri lenti” di cui parla il Nobel per l’Economia Daniel Kahneman, in opposizione ai pensieri veloci: questi ultimi sono spontanei, immediati, emozionali, al contrario di quelli lenti, che richiedono applicazione, perché sgorgano dall’analisi, dalla valutazione, dalla consapevolezza.