Più compiti rispetto al resto d’Europa, risultati nella media: il paradosso della scuola italiana
I nostri studenti studiano 2,3 ore al giorno anche d’estate, più di qualsiasi coetaneo europeo. Eppure non eccellono. Lancini: “I compiti servono agli adulti, non ai ragazzi”
Il dato emerge chiaro dal rapporto Censis dello scorso dicembre: gli studenti italiani sono quelli che in Europa trascorrono più tempo sui libri, dedicando una media di 2,3 ore al giorno ai compiti anche durante le vacanze. Eppure, paradossalmente, questo surplus di impegno non si traduce in risultati superiori rispetto ai coetanei europei. Una contraddizione che apre interrogativi profondi sul senso stesso dei compiti estivi e sulla loro reale efficacia educativa.
La provocazione di Lancini: “I compiti servono agli adulti, non ai ragazzi”
Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, docente alla Statale di Milano e presidente della fondazione Minotauro, non usa mezzi termini: “Bisogna capire di che età parliamo, ma la questione centrale è che viviamo nella società online. Tutti usano l’AI, il papa, ormai da decenni, ha un profilo Twitter. È cambiata la Chiesa, sono cambiati i modi di diventare politici, di essere madre o padre. L’unico ambiente in cui non viene presa un’iniziativa a favore delle nuove generazioni è la scuola. L’unico luogo in cui si dice ancora ‘ai miei tempi'”.
La critica di Lancini va al cuore del problema: “I compiti intesi come esecuzione e non come processo creativo sono solo l’emanazione estiva di una scuola in cui bisognerebbe sempre partire dalle domande degli studenti, co-costruire per risolvere i problemi, educare al digitale”. Invece, lamenta l’esperto, “dove invece di chiedere scusa ai maturandi, li perquisiamo come delinquenti”.
Ma la provocazione più forte riguarda il vero scopo dei compiti: “I compiti servono ai genitori e agli insegnanti per aver pensato a sé e fregandosene delle esigenze reali dei propri figli e studenti”. Una società, secondo Lancini, “con adulti sempre più concentrati su se stessi, che invece di chiedersi perché i ragazzi stanno male, si inventa che il malessere dipende dagli smartphone”.
Quando i compiti diventano un peso per tutta la famiglia
Il quadro che emerge dalle scuole italiane conferma le preoccupazioni dello psicologo. Non è raro trovare studenti delle medie con un carico che include: libro di esercizi di matematica, ricerca di scienze, ricerca di geografia sulle città europee, libro di inglese, esercizi di grammatica, diario personale, compiti di educazione musicale e disegni per arte. Tutto questo mentre devono “finire il programma” di storia.
Il 43% degli insegnanti, secondo i presidi interpellati dal Censis, assegna compiti che gli studenti non sono in grado di completare autonomamente, dando per scontato l’intervento dei genitori. Ma la ricerca dell’Università della Finlandia orientale dimostra l’opposto: i bambini capaci di svolgere i compiti in autonomia sviluppano maggiore fiducia nelle proprie abilità, mentre l’intervento costante degli adulti mina questa sicurezza.
L’alternativa: compiti che educano alla vita
Di fronte a questo scenario, emergono proposte alternative. Vincenzo Schettini, il professore di fisica diventato famoso su TikTok, ha assegnato ai suoi studenti “compiti” davvero speciali per l’estate: alzarsi tardi (ma non troppo), dedicarsi al movimento e allo sport, scegliere liberamente un libro che li appassioni, coltivare le amicizie. Un approccio che punta al benessere complessivo della persona.
Anche il pedagogista Giulio Tosone propone i “non-compiti”: cucinare osservando le reazioni chimiche degli alimenti, coltivare un orto, aiutare nelle faccende domestiche. Attività che educano alla vita pratica mantenendo un valore formativo.
La strada dell’equilibrio
La soluzione non sta necessariamente nell’abolizione totale dei compiti estivi, ma in un ripensamento del loro ruolo. Il 95,1% dei presidi concorda sulla necessità di un coordinamento tra docenti per evitare sovraccarichi, mentre solo il 63,7% considera essenziali i compiti a casa. Numeri che fotografano un’incertezza diffusa sul valore reale di questa pratica.
La chiave è costruire un’estate che sia davvero formativa: un tempo in cui i ragazzi possano riposare, scoprire passioni autentiche, coltivare relazioni significative e, perché no, anche consolidare alcuni apprendimenti. Ma sempre partendo dalle loro esigenze reali, non dalle ansie degli adulti. “Fate i compiti per proteggere i grandi: fateli perché se no non si sentono adeguati”, conclude Lancini. Una riflessione amara che dovrebbe interrogare tutti gli adulti – dalle insegnanti alle famiglie – coinvolti nell’educazione.
Perché, come conclude provocatoriamente Lancini, il rischio è che “a breve costringeremo i bambini a prendersi carico delle nostre fragilità”. E le vacanze dovrebbero essere, innanzitutto, un diritto dei ragazzi, non un dovere verso i grandi.