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CONDIVIDIAMO L’ARTICOLO DI “LA STAMPA” che, grazie alle riflessioni di Loredana Cirillo nel suo libro Soffrire di adolescenza, approfondisce il ruolo dei genitori nell’affrontare le difficoltà dei figli senza cercare soluzioni rapide e riflettendo sul malessere adolescenziale nella società contemporanea.

Quand’è che crescere un figlio è diventato un problema che richiede l’intervento di ‘consulenti specializzati’ di fronte a ogni difficoltà? Non che acquistare servizi come le ‘fate della nanna’ sia sbagliato, ma il problema sorge quando pensiamo di non essere in grado di risolvere alcun problema che riguarda i nostri figli senza l’aiuto di un esperto

di Rita Balestriero

Non abbiamo paura di chiedere aiuto. L’ho scritto nella prima puntata di questa newsletter parlando di noi genitori equilibristi. Era l’aprile 2021, una ricerca dell’agenzia Euromonitor definiva le madri e i padri Millennials come ‘per nulla spaventati di chiedere consigli. Al contrario, aperti e ben disposti a cercare guide da più parti, anche molto diverse tra loro’. Mi sembrava un punto a nostro favore, un atto di maturità spinto dalla consapevolezza che il miglior genitore possibile è quello che conosce i propri limiti. Poi in questi anni ho capito che la medaglia che avevo puntato sul petto aveva anche un altro lato, meno luccicante. La prima sensazione amarognola l’ho provata quando mi sono accorta che il nostro comportamento era la risposta (e al tempo stesso la causa) di una n u o v a f o r m a d i consumismo: Vuoi un aiuto? Basta pagare. E così abbiamo assistito al successo di fate della nanna, alla diffusione di consulenze per qualsiasi problematica (dal vasino ai c a p r i c c i ) , a l l a trasformazione di psicologi e pedagogisti in influencer, alla pubblicazione di una marea di libri problem- solving. Non sto dicendo che acquistare questi servizi sia sbagliato, il problema sorge quando pensiamo di non essere in grado di

risolvere alcun problema che riguarda i nostri figli senza l’aiuto di un esperto. Insomma, è una questione di misura. Che questo atteggiamento fosse il sintomo di un malessere più generale lo spiega molto bene la psicoterapeuta Loredana Cirillo nel suo nuovo libro, Soffrire di adolescenza ( Raffaello  Cortina Editore): ‘La ricerca di alternative come soluzioni ai problemi della vita può rappresentare una grande liberazione, una conquista, ma, quando diventa parossistica, rischia di mettere a tacere il pensiero, la riflessione, la criticità che si cela dentro ogni situazione di crisi o di difficoltà. Le soluzioni agite senza fermarsi a comprenderne le origini e il senso sono provvisorie, parziali, fuggevoli, posticce’. Sbang. Il libro di Loredana è così, ti mette davanti a uno specchio e l’immagine riflessa non sempre ti piace. Nasce dalla sua esperienza come

psicoterapeuta all’Istituto Minotauro di Milano e, infatti, le storie che ascolta ogni giorno durante le consulenze con gli adolescenti e i loro genitori scaldano le pagine trasformando questo saggio in un ibrido narrativo che racconta l’evoluzione del malessere dei ragazzi, ma alla fine rivela moltissimo anche della società in cui viviamo. Partiamo da qui, dal nostro desiderio di trovare soluzioni pronte all’uso per ogni problema. ‘Quando un figlio è troppo arrabbiato o triste dovremmo chiederci qual è il motivo, non cercare subito un antidoto a questa scocciatura. Una volta, durante un colloquio con una madre, ho avuto la sensazione che mi vedesse come una specie di meccanico che doveva fornirle un pezzo di ricambio per la figlia, che per lei era a tutti gli effetti come un’auto da aggiustare. Sempre più spesso i genitori vogliono far cessare le cose che non vanno, chiedono soluzioni’. Vorremmo figli perfetti? ‘Più che perfetti io li definisco figli paradossali: li vogliamo con un carattere tosto, ma che, al tempo stesso, seguano i precetti degli adulti, anche facendo finta di farli propri. Se si sottraggono a questo mandato, allora rischiano di diventare sacrificabili’. In che senso sacrificabili? ‘In questi anni abbiamo assistito a un cambio della figura materna: siamo passati dalla donna votata al sacrificio che vedeva la maternità come l’apice della sua espressione, a una che vive quel ruolo in modo ambivalente, avendo sempre il timore di perdere sé nell’accudimento, o di eccedere nella cura e infragilire così il proprio bambino. Ecco perché in tante tendono a incalzare precocemente l’autonomia dei figli, fino ad arrivare a mal tollerare anche le quote fisiologiche di dipendenza dei bambini, che invece sono fondamentali per crescere in modo davvero autonomo. Durante l’infanzia la presenza dei genitori è importante, non possiamo negarlo. E invece spesso si tende a maleficare il bambino dicendo che è troppo richiedente, appiccicoso… Però la dipendenza emotiva non è patologica, ma fisiologica, va a diminuire nel tempo’. In pratica, una volta erano le donne a sacrificarsi per crescere i loro figli e adesso, invece, tocca ai bambini farlo? ‘Esatto, solo che in questo modo gli insegniamo a tacere i loro bisogni e durante l’adolescenza riemergono trasformandosi in sofferenza’. Sbang. In questa newsletter però, abbiamo ribadito tante volte

quanto sia importante, per i genitori, imparare a prendersi dei momenti per sé, per ricordarsi che non sono solo madri e padri. Non sarà mica sbagliato? ‘Assolutamente no, e infatti io non dico che dobbiamo tornare a quando il ruolo della donna era relegato in modo esclusivo a quello materno. Non sarebbe d’aiuto neanche per i figli. La soluzione non è neppure assecondare ogni loro bisogno o desiderio, ma impegnarsi per sintonizzarsi con loro, anche se costa fatica e impegno. Solo trovando un’armonia dei codici affettivi e dei ruoli femminili (materno, professionale, di coppia, di figlia e amicale…) si può sostenere la crescita dei figli. È la sfida del nostro tempo’. Mi riconosco molto nell’ambivalenza di cui parla, però sento anche uno stridore con le madri che conosco, che vedo a scuola e al parco giochi. ‘Non sto parlando di madri che trascurano e maltrattano i loro figli, al contrario di donne molto coinvolte, presenti, partecipi: organizzano incredibili feste di compleanno, li iscrivono nelle scuole migliori, vanno in vacanza con le famiglie degli amici dei figli, per farli contenti… ma poi rischiano di non essere capaci di sintonizzarsi con i loro bambini, perché la verità è che nella maggior parte del tempo stanno compiendo una campagna di promozione del benessere personale e non di quello dei loro figli. Non sto parlando di donne “cattive”, ma di vittime della cultura narcisistica, a loro volta insoddisfatte nei bisogni affettivi ed emotivi. E’ come se si trasformassero in manager che dirigono la casa per difendersi, per dimostrare quanto sono brave, spacciando le proprie azioni per accudimento’. Come si è accorta di questo cambiamento? ‘Una volta nei colloqui con le mamme mi trovavo davanti alla fatica di lasciare andare tipica del codice materno, o all’iper investimento di donne che avevano riempito i figli di cure e attenzioni. Una volta erano i genitori preoccupati a portarci i figli, oggi invece sono i ragazzi che chiedono ai genitori di poterci incontrare. Una volta gli adolescenti sofferenti non parlavano mai dei loro genitori, oggi invece sono al centro dei loro discorsi’. E cosa dicono dei loro genitori? ‘Li descrivono molto meglio di come i genitori sanno descrivere i figli. In generale poi, non vogliono farli preoccupare, sentono il dovere di proteggerli. Questo ribaltamento dei ruoli, però, è pericoloso’. E perché parlano così tanto di noi? ‘È come se restassero attaccati ai loro genitori nel tentativo di ricevere le cure e le attenzioni che gli sono mancate. Non hanno avuto u n ‘ e s p e r i e n z a sufficientemente buona di attaccamento che li renda sicuri nell’esplorazione del mondo e della costruzione di Sé’. Cosa dovremmo fare per disinnescare questo pericolo? ‘Prendere coscienza del fatto che siamo fragili: è il primo passo per cambiare. Questo non significa che dobbiamo diventare forti, ma che se nostro figlio non ci prepara ordinatamente la cartella, o porta a casa un brutto voto, dobbiamo fermarci e dirci che anche lui ha il diritto di avere delle difficoltà, proprio come noi. Se gli gridiamo addosso – cosa che può succedere – poi dovremmo provare a chiederci come mai lo abbiamo fatto’. Ma perché, secondo lei, è così difficile? ‘Perché calarci nei loro pensieri e porci delle domande ci angoscia, ci spaventa. E poi perché non ne abbiamo il tempo, siamo concentrati a sopravvivere nella nostra giungla quotidiana, entriamo in casa come delle guerriere stanche e chiediamo loro di consolarci, di fare i bravi’. Oggi abbiamo parlato molto di madri. ‘Per essere più corrette dovremmo parlare di funzione genitoriale che si dedica al bambino… E comunque nel libro parlo anche di padri’. Parla

moltissimo anche di adolescenti, dei loro corpi, della loro sofferenza che si manifesta attraverso ansia, attacchi di panico, gesti autolesivi, disturbi alimentari… E per raccontarli si serve delle storie che ha ascoltato, intrecciandole con i miti. Come le è venuta questa idea? ‘Volevo parlare dei miei casi clinici, ma ovviamente volevo proteggere i ragazzi, renderli irriconoscibili. Non mi piaceva l’idea di cambiare i loro nomi e basta e allora ho iniziato a cercare un’altra soluzione. Mi sono rimessa a studiare i miti perché mi sono resa conto che la maggior parte dei protagonisti è adolescente, penso per esempio a Ifigenia, ma anche a Oreste e a Pan: sono tutti ragazzi che portano dentro una ferita infantile, come molti adolescenti di oggi. E poi mi è sembrato un modo interessante per sottolineare che l’uomo, da sempre, deve fare i conti con l’infanzia: riconnettersi con la propria storia è un passo necessario’. Ma quindi un bambino amato durante l’infanzia sarà un adolescente sereno? ‘L’adolescenza è una seconda nascita. Tutto viene messo in discussione: si trovano nuovi amici, nuovi adulti di riferimento, si cambia scuola. Entrano in campo un sacco di fattori, società in primis, è chiaro che non si gioca tutto sull’infanzia. Però il fatto di essere stati pensati aiuta a pensare. Sentire di avere uno spazio nella mente dei genitori favorisce la possibilità di dialogare con i propri conflitti interni, lasciando meno spazio ai sintomi o ai pensieri disturbanti’. Genitori Equilibristi: iscriviti alla newsletter Storie di madri e padri autentici, sempre in bilico tra figli, lavoro e il resto del mondo. Quelli che non avrebbero mai neppure immaginato di ritrovarsi a fare i funamboli, ma che ora le provano tutte per non cadere da quella corda instabile.