Condividiamo l’articolo scritto da Matteo Lancini per l’editoriale de La Stampa (11 Giugno 2025)
Quando le colpe sono degli adulti
di Matteo Lancini
I corpi straziati di centinaia di bambini, donne, e civili uccisi per mano di altri esseri umani. La violenza quotidiana da parte di adulti in carne e ossa che insultano o picchiano i propri interlocutori per strada o a ridosso di un campo di calcio dove è in corso una partita tra bambini. Le bellicose esternazioni nei dibattiti parlamentari e le agguerrite dichiarazioni di politici che sbeffeggiano chi ha osato proporre un referendum popolare, ormai considerato un esercizio inutile e dispendioso, che ha costretto a rimanere aperte le scuole italiane nel week end che segna l’avvio dell’estate italiana, che come è noto non inizia con il solstizio ma con la fine dell’anno scolastico. Intanto il pianeta boccheggia, gli oceani si plastificano e l’espressione Next Generation Eu, ampiamente utilizzata in pandemia per farci sentire caritatevoli nei riguardi dei nostri figli e studenti, è stata rimossa dal vocabolario quotidiano a favore di provvedimenti post pandemia del tutto inadeguati ai bisogni attuali dei giovani e del tutto favorevoli alle nostre esigenze adulte. Uomini e donne, genitori e insegnanti, cittadini e lavoratori che non solo utilizzano quotidianamente internet per poter svolgere adeguatamente i propri ruoli affettivi e professionali, ma che interrogano l’intelligenza artificiale prima di qualsiasi redazione di un paper universitario o di una presentazione, che vivono con uno smartphone in mano e che si promuovono come influencer o haters ogni giorno sui social pur di avere successo in questa società. Davanti alla disperata violenza giovanile, ai gesti autolesivi, all’esodo dalla scuola italiana da parte di un numero crescente di adolescenti ci si aspetterebbe un cambio di rotta o almeno un ragionamento su cosa potremmo come adulti modificare per poter far sentire i nostri figli e studenti meno soli, per aiutare le nuove generazioni a intravedere un presente e un futuro vivibile. Si potrebbe ipotizzare che l’adulto significativo, preoccupato e identificato con il disagio e la sofferenza di chi ha messo al mondo e di chi sostiene di educare fosse intenzionato a sacrificare qualcosa del proprio modo di vivere e di essere, di prendere e dilapidare. Invece no. Siccome attuare provvedimenti scolastici davvero utili per la formazione identitaria e culturale delle nuove generazioni significherebbe perdere il consenso elettorale, poiché rinunciare al proprio smartphone e al controllo spasmodicamente geolocalizzante del proprio figlio significherebbe diventare un adulto autenticamente disponibile e rinunciare alla palestra o ad un aperitivo con amici a cui raccontare che li stiamo ascoltando troppo, decidiamo, per l’ennesima volta, di parlare di dipendenza dagli smartphone e di internet. Mai una proposta aggiuntiva per loro e privativa per noi. Mai una scuola che rinunci ai gruppi di whatsapp dei genitori, che vieti l’utilizzo del registro elettronico e l’invio dei compiti scolastici tramite internet fuori dall’orario scolastico. Andiamo avanti così, continuiamo a sostenere che esiterebbe una dipendenza giovanile dallo smartphone e dai social, quando nessuno scienziato serio, ripeto, nessuno scienziato serio che si occupi di internet misura la dipendenza in base al tempo trascorso su un device da parte dell’essere umano. Continuiamo a sostenere che lo smartphone è un oggetto o una sostanza, come la droga e l’alcool, invece di accettare che è un ambiente e che il disagio giovanile dipende dai nostri comportamenti quotidiani e dalla società individualista e iperconnessa che abbiamo creato. Mentre gli adulti confondono quotidianamente il virtuale con il reale, l’espressione violenta della disperazione giovanile non sembra placarsi.