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Condividiamo l’editoriale di Matteo Lancini per La Stampa.

La drammatica fine della vita di tre ragazzi in un canale di Portogruaro potrebbe rappresentare un’occasione di riflessione su come promuovere comportamenti meno distruttivi in chi ha ancora molta vita davanti a sé, a partire da una visione meno superficiale e stereotipata delle ragioni che inducono a mettere a rischio la propria esistenza in adolescenza e nella giovane età adulta. Continuare a sostenere che alle nuove generazioni manchino le informazioni necessarie a comprendere le conseguenze delle proprie azioni è un processo difensivo degli adulti, che faticano enormemente ad accettare che quasi sempre dietro al consumo di droghe, alcool e incidenti ci sia un dolore, una difficoltà a dare senso e a mettere in parola la tristezza e i vissuti depressivi. A quell’età, forse più che in altre fasi della vita umana, la mancata elaborazione e condivisione di stati d’animo così disturbanti diventa rischio, comportamento anticonservativo.

La trasgressione non è più da tempo il motore della crescita delle nuove generazioni e la presunta inconsapevolezza giovanile una speranza che offusca il pensiero di chi ancora propone politiche preventive basate esclusivamente sull’informazione e pubblicità progresso. Il fallimento decennale delle campagne preventive sul consumo di sostanze, basate sul concetto che la droga fa male, uccide e bisogna averne paura, non è evidentemente servito a far comprendere che queste verità informative servono a pochissimo se non si intercettano le verità affettive che animano le azioni dei giovani assuntori. Lo stesso vale anche per i giovani guidatori. Continuare a investire in comunicazioni volte ad aumentare la consapevolezza sui rischi di una guida in stato d’ebbrezza, magari affiancandole con immagini drammatiche dei corpi martoriati di chi è stato coinvolto in un incidente stradale, assolve a una necessità adulta, più che incidere sui comportamenti generazionali. Gli incidenti sono spesso gesti parasuicidali, in alcune occasioni, come testimoniato dall’assenza di frenata o dalle dichiarazioni dei giovani sopravvissuti, dei veri e propri tentativi di suicidio.

La domanda da porsi è perché in una compagnia esiste da tempo una turnazione settimanale del guidatore costretto ad astenersi dai consumi nella serata in cui svolgerà la funzione di accompagnatore e in un’altra compagnia la cosa non viene neanche presa in considerazione? Perché alcuni ragazzi sono coinvolti in incidenti più volte nel giro di pochi mesi? La consapevolezza generazionale non passa solo dall’informazione. Sempre più urgentemente genitori, insegnanti ed educatori dovrebbero avere il coraggio di alfabetizzarsi emotivamente per poter consentire a ragazzi e ragazze di mettere in parola le proprie emozioni e trovare adulti disposti ad ascoltarle e dare significato a un’esistenza comunque lastricata di dolori, incertezze e momenti difficili, che possono provocare la sensazione che tanto non si ha niente da perdere. E allora via, a tutta velocità.