Seleziona una pagina

Condividiamo l’articolo di Stefano Padoan per Nostrofiglio.it con l’intervista a Matteo Lancini.

Ragazzi e ragazze che non escono più di casa nemmeno per andare a scuola, talvolta rinchiudendosi addirittura nella propria stanza. Il fenomeno del ritiro sociale preoccupa tutti i genitori di figli adolescenti e preadolescenti, soprattutto oggi che l’onda lunga del Covid-19 sta ingigantendo il fenomeno. Ma come si è evoluta questa emergenza sociale in questi ultimi anni e come possiamo essere d’aiuto ai nostri figli? Lo chiediamo a Matteo Lancini, Psicologo e psicoterapeuta autore insieme a Loredana Cirillo di “Figli di Internet” (Erickson, 2022).

Ritiro sociale: definizione

Il ritiro sociale non è un fenomeno nuovo: «Soprattutto negli ultimi anni – spiega l’esperto – è sempre più stato l’espressione di un disagio crescente negli adolescenti. Rientra in generale in tutte quelle forme di attacco e annullamento del corpo che sembra stia diventando la principale manifestazione del disagio giovanile, che non trova altre forme per essere comunicato». Pensiamo, soprattutto nella sfera femminile, a tutti i disturbi della condotta alimentare come anoressia e bulimia; oppure a fenomeni di autolesionismo, o ancora a pensieri suicidi: «Anche il ritiro sociale rientra in questo schema, quello di voler far sparire il proprio corpo sottraendolo alla vista degli altri; in qualche modo “morendo” socialmente».

Ritiro sociale e Hikikomori

Essendosi sviluppato prima in Giappone, il fenomeno prende il nome anche di “Hikikomori”, termine nipponico che significa letteralmente “stare in disparte“. «Spesso il termine si associa però alla forma più grave di ritiro sociale, il ritiro severo che si riferisce a quanti decidono di isolarsi vivendo nella solitudine della propria stanza. Ci sono in realtà molte sfumature del fenomeno, in cui ci si sottrae solo da alcuni ambienti: c’è ad esempio chi si ritira da scuola, ma poi riesce a preservare dei luoghi di socialità con alcuni amici; o viceversa ci sono ragazzi e ragazze che vanno a scuola, ma poi non hanno più altri contatti con il mondo esterno».

Ritiro sociale: cause

Le cause di un ritiro sociale sono naturalmente molteplici, con variabili che cambiano da persona a persona. Lancini però sottolinea tre dati di contesto trasversali:

  1. Individualismo. La società si sta facendo sempre più individualista e competitiva: «In questo ci siamo un po’ “giapponesizzati”: l’ossessione ad essere sempre performativi trasmette agli adolescenti la sensazione di non essere adeguati se non hanno successo e non sono popolari tra i coetanei. Rende poi quasi impossibile tollerare dei fallimenti. Insomma, la percezione dello sguardo dell’altro su di sé talvolta si fa insostenibile e rimanda un’immagine di sé come priva di valore».
  2. Difficoltà nella gestione del conflitto. In un mondo pieno di conflitti, ma in qualche modo tutti latenti e esclusi dai discorsi sociali e interpersonali, gli adolescenti non sanno come comportarsi di fronte al conflitto e alla propria rabbia: «I ragazzi e le ragazze faticano a gestire qualsiasi espressione di tratti conflittuali, visti subito come violenti e intollerabili. Alcuni ritirati hanno magari provato a stare nel conflitto e a sostenere, ad esempio, una situazione ostile in classe ma questo spesso si è manifestato in una reazione fisica interpretata come inadeguata. Molti hanno una rabbia repressa che sfogano nella violenza su internet, dove non si fa fisicamente male a nessuno».
  3. L’esclusione del corpo. Non dimentichiamo che sono i modelli urbanistici ed educativi imposti dagli adulti a limitare il corpo dei più giovani. «I ragazzi hanno bisogno di muoversi e di misurarsi anche sul piano fisico. A furia invece di comprimere la dimensione corporea (e di non considerarla nemmeno un aspetto da educare), oggi il loro luogo di espressione è diventata la rete. Le esperienze di gioco e socializzazione, che nelle piazze e nei cortili di una volta formava i più piccoli a stare insieme e a cavarsela tra pari, oggi sono limitate o, ancora una volta, normate e governate da adulti sotto forma di attività animative strutturate».

Ritiro sociale e Covid

Anche dopo il periodo pandemico, le cause del ritiro sociale continuano ad essere quelle di sempre: «Attenzione ad attribuire al Covid-19 delle colpe che non ha, solo per deresponsabilizzare noi adulti come figure di riferimento: la pandemia ha solo esacerbato delle modalità di disagio già preesistenti».

  • È emerso un disagio latente. Sicuramente il ritiro sociale, che appunto è un sintomo di altro piuttosto che il centro del problema, è aumentato di casi e ha iniziato anche a interessare i più giovani, come la fascia preadolescenziale delle scuole medie. L’emergere del fenomeno è però paradossalmente positivo: «Se un ragazzo lancia un segnale di bisogno invece di celarlo, lo si può cogliere: in questo ha influito anche il fatto che, durante la pandemia, l’espressione delle fragilità delle persone si è fatta improvvisamente più socialmente accettabile e anche i ragazzi hanno imparato a chiedere aiuto».
  • La gestione della pandemia. Un fattore che ha accelerato il manifestarsi di ritiro sociale, ma soprattutto di ritiro scolastico è stata la gestione delle vite dei nostri figli in pandemia: «Aver chiesto ai ragazzi, con la DAD, di mettere la faccia davanti a una telecamera e in un certo senso di permettere a tutta la classe di entrare nell’intimità della propria camera ha destabilizzato e alzato i livelli di vergogna; molti hanno iniziato a non presentarsi e, quasi per inerzia, non hanno più avuto forza e motivazioni per rientrare nemmeno in presenza».

Hikikomori e internet

Internet, i social network, i videogiochi. Il rapporto con la tecnologia è un aspetto sicuramente importante degli adolescenti ritirati sociali, ma può avere tante forme diverse. E di certo non sono le nuove tecnologie a costituire una causa del fenomeno: «A demonizzare gli strumenti digitali, oggi, saremmo anche molto poco credibili dopo aver passato anni a dire ai nostri ragazzi che internet è un posto pericoloso, salvo poi additarlo come la salvezza durante la scuola a distanza». Spesso sì, si verifica una sovrapposizione tra un comportamento ritirato e una iperconnessione senza regole. Non è però sempre così: «I ritirati sociali gravi, ad esempio, non riescono nemmeno ad accedere alle possibilità date da internet. Anzi, la rete può rappresentare un auspicabile contatto con il mondo esterno. Se pensate poi che vostro figlio non vada a scuola perché è stato sveglio tutta la notte attaccato ai videogiochi, ebbene è esattamente il contrario: i ritirati sociali soffrono lo stare svegli quando sanno che il resto del mondo è a scuola, e così programmano il sonno proprio in quelle ore». Videogiochi, anime, manga e serie tv dunque non sono l’oggetto che sottrae i ragazzi alla socialità, quanto piuttosto forme di difesa e di espressione: «Tramite essi e identificandosi con i personaggi, fanno le esperienze che non si stanno concedendo. Sarebbe bello chiedere loro quali personaggi amano, quali avatar scelgono per i loro giochi online: è il loro modo per parlare di sé».

 

Come affrontare il ritiro sociale

  • Non andate a caccia di segnali. Non si tratta di “prevenire” dei comportamenti e intercettare dei cattivi segnali, ma di ascoltare il proprio figlio: «Siate disposti a chiedere e poi ad ascoltare veramente: non limitatevi a chiedere distrattamente “com’è andata oggi?” ma interessatevi davvero (“Come ti trovi con i compagni?”) e poi date loro la libertà di rispondere o meno. Abbiate un atteggiamento curioso, e non di chi vuol sapere a tutti i costi le cose per una mania di controllo: voi avete lasciato una porta aperta di dialogo che, quando ne avrà bisogno, probabilmente utilizzerà».
  • Non censurate, interessatevi. Invece di dire noi ai manga e “spegni lo smartphone”: chiedete cosa legge, come usa la rete, cosa gli interessa: «Sono aspetti importanti della sua vita. Non sono le serie tv o i social a portali via da voi. È necessario poi garantire loro uno spazio vitale: meglio che giochino a Fortnite con gli amici piuttosto che stiano con voi a guardare un programma in tv. Esattamente come, a scuola, internet dovrebbe trovare più spazio e, fuori dalla scuola, dovrebbero esserci più occasioni di socialità in presenza, anche destrutturata».
  • Accettate che vostro figlio possa soffrire. È la più grande paura dei genitori, che spesso non riescono a tollerare: che i propri figli possano sentirsi tristi e incappare in incidenti di percorso nella loro crescita. «Molti passano tutta la vita a provare a rimuovere gli ostacoli che potrebbero pararsi davanti ai figli salvo poi, quando loro lamentano un ostacolo, negarlo e ribellarsi all’idea. Il timore è che ne vada della loro capacità genitoriale, quando invece basterebbe stare nelle difficoltà dei figli e non sminuirle in alcun modo. Sono le sofferenze che non trovano spazio nella mente dell’adulto che rischiano di radicalizzarsi, perché il ragazzo si sente non capito e lasciato solo con le proprie angosce».
  • Fate domande scomode. Se la tentazione dei genitori è di mettere a tacere un figlio che vorrebbe dire di stare male, fate proprio il contrario: «Si può chiedere a un minore se è triste tanto da desiderare di non andare più a scuola o addirittura di morire. Sconvolgerà più voi che lui un dialogo su questo, e abbiate la capacità di accettare cosa ha da dire lui, che sarà forse diverso dalle vostre aspettative e desideri per lui. Da lì si elaborano insieme soluzioni».