“Saper accettare il dolore dei figli”, Matteo Lancini invita a non negare l’ansia e l’angoscia

Condividiamo l’articolo di Simona Ravizza con intervista a Matteo Lancini, pubblicato su “azione – Settimanale d’informazione e cultura della cooperativa Migros Ticino”

Saper accettare il dolore dei figli
Il caffè dei genitori: le emozioni negative dei ragazzi spesso spaventano, disturbano o fanno sentire inadeguati madri e padri Lo psicologo Matteo Lancini invita a non negare l’ansia e l’angoscia

07/07/2025
Simona Ravizza

Smettiamola di volere che i nostri figli siano felici sempre e a tutti i costi, facendoli sentire un po’ come Riley, l’11enne protagonista di Inside Out (Walt Disney Pictures, 2015), che si trasferisce dal Minnesota a San Francisco per il nuovo lavoro del padre e, solo dopo una lotta interna di emozioni, riesce a confessare, tra le lacrime: «So che non volete che sia così. Vi aspettate che io sia felice. Vi prego non arrabbiatevi, ma…». Ora, detto così, può sembrare un po’ blasfemo, ma siccome affrontare l’argomento a Il caffè dei genitori è come ricevere un pugno nello stomaco, siamo andati subito al punto: in nome di una felicità che perseguiamo da mattina a sera, non siamo capaci di accettare le emozioni negative dei nostri figli. Ci disturbano. Ci spaventano. Ci fanno sentire inadeguati.

Del resto, noi genitori moderni, che ci sciroppiamo le chat di classe per sapere che compiti dobbiamo fare; noi che li accompagniamo come tassisti in ogni dove per tirar fuori il campione sportivo che c’è in loro (vuoi mica avere un figlio brocco); noi che quando siamo a rifarci le unghie con il semipermanente li geolocalizziamo per essere certe che non siano in pericolo; noi che alle tre di notte siamo fuori dalla discoteca pronti a fare spallucce se sono ubriachi fradici; noi che ci siamo ripromessi che il loro benessere è la nostra missione di vita, eliminando tutti gli ostacoli dal loro cammino; noi che organizziamo cene di famiglia così felici da essere immortalate su Instagram… Ecco, noi genitori che siamo questi qui, come facciamo a non avere figli felici? Dopo esserci ammazzati di lavoro, ci diciamo a Il caffè dei genitori, vuoi mica che l’adolescente ci pianti il muso proprio durante i tre giorni di vacanza? Non farmi soffrire, ti prego! Così ci ritroviamo a essere genitori malati di algofobia, dal greco «álgos» dolore e «phóbos» paura. Paura del dolore. Il loro dolore.

La prima volta che sento parlare di algofobia, e di come noi genitori siamo incapaci di ascoltare le emozioni negative dei nostri figli – in quanto disturbanti la visione di vita da «Mulino bianco» che perseguiamo in nome dei nostri sforzi genitoriali – è qualche mese fa al «Corriere della Sera» in un incontro con Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro di Milano che svolge attività di prevenzione del disagio adolescenziale. Lo scorso marzo Lancini ha pubblicato il suo ultimo saggio Chiamami adulto (Raffaello Cortina editore), dove scava in profondità proprio sulla necessità di superare l’urgenza del fare, per imparare a stare in un’autentica relazione con i ragazzi: «Per non essere travolti dalla società algofobica ci serve imparare a stare anche in relazione con il loro dolore – scrive –. L’ansia rappresenta un’emozione importante, da non tacitare ma da integrare con la tristezza o con la rabbia, e non solo con i sentimenti meravigliosi che vorremmo loro provassero». Lo invitiamo a Il caffè dei genitori. I punti che affronteremo sono quattro: quello che come genitori ci siamo ripromessi di essere; quello che in realtà siamo diventati; perché ci comportiamo in modo contraddittorio rispetto alle promesse avanzate ai nostri figli; cosa sarebbe utile imparassimo.

Uno: quello che abbiamo promesso di essere. «Un tempo – sottolinea Lancini – il mandato era uno e molto semplice: devi obbedire. Oggi invece ai bambini, fin da piccolissimi, viene fatta una promessa: capiamoci. Viene chiesto loro di sottoscrivere un patto basato sull’intesa e sul mantenimento della relazione con gli adulti. È una promessa di comprensione reciproca, di affetto e di connessione». Ammettiamolo: il desiderio è di essere mamme e papà migliori e più empatici rispetto ai nostri genitori. Cosa stiamo combinando invece?

Due: quello che siamo diventati. Lancini è davvero impietoso, ma a Il caffè dei genitori sappiamo che dice la verità: «Lo stesso adulto che promette relazione, ascolto e intesa, quando il figlio diventa adolescente non lo fa essere più libero che in passato di esprimere se stesso e le sue emozioni autentiche, talvolta disturbanti». Facciamo troppo, pensiamo troppo, spesso senza davvero capire. Proviamo ad anticipare tutti i loro bisogni senza chiederci cosa vogliano davvero, o come si sentano. E appena stanno male, ci affrettiamo a rassicurarli: «Non è vero, va tutto bene, sei forte, sei bravo». Non è ascolto, è paura. La nostra paura. Non sappiamo accogliere il loro dolore, lasciarlo entrare, starci dentro. E così mandiamo loro il messaggio che non si può stare male, non si può essere tristi, non si può soffrire. Non nella società che abbiamo costruito, dove conta solo essere visibili, popolari, vincenti. Dove anche le emozioni devono essere esibite, spettacolarizzate, mai vissute davvero.

Tre: perché lo facciamo. Accettare il dolore, soprattutto quello dei figli, è faticoso! Mette in discussione anche noi come genitori e tira in ballo i nostri sensi di colpa. Vuol dire non metterci comodi, non adagiarci nella comfort zone della famiglia felice. Ci impone di fare i conti con la disillusione. «Il dolore, il loro, ci rompe l’incanto, l’incantesimo che la loro venuta al mondo aveva creato dentro di noi. La loro funzione riparatoria e protettiva nei nostri confronti viene meno – ammette Lancini, anche lui genitore –. La loro rabbia, la loro fatica, l’assenza di prospettive, di amici, di una qualsiasi visione, arriva e ci trafigge come una lama in mezzo al petto, come un pugno nello stomaco, come il sangue che arriva al cervello, come qualcosa che ci scava dentro. Ci toglie il fiato. Ma anche questa è vita». Anche questo è essere genitori.

Quattro: cosa serve davvero e perché. Non fuggire. Non negare. Non distrarci. Non dire «va tutto bene» quando non va bene affatto. Stare senza scappare. Lancini ci invita a restare sintonizzati sulle loro frequenze, senza cedere alla tentazione di cambiare canale, come di fronte a un film dell’orrore o a un programma che non ci piace. «Dobbiamo sviluppare la capacità di farcene carico e di essere adulti in grado di sostenere i ragazzi e le ragazze e i loro momenti di difficoltà, più o meno intensi, condividendone con loro il peso – scandisce lo psicoterapeuta –. Cedere alla tentazione di attribuirci esclusivamente tanto le colpe quanto le responsabilità unilaterali rischia ancora una volta di allontanarci da loro, facendoci rimanere più sintonizzati con noi stessi e con il peso della nostra fatica nel gestire il dolore. Stiamo fermi, stiamo in ascolto, attenti, concentrati, scomodi, con la sensazione di avere appena ricevuto un pugno nello stomaco, ma stiamo. Stiamo a sentire quanto male hanno dentro e quanto fa male a noi».

Perché, ribadiamo a noi stessi, è importante non essere genitori malati di algofobia? «Quando l’ansia e l’angoscia che i nostri ragazzi e le nostre ragazze sperimentano non vengono negate ma legittimate – assicura Lancini – è più facile che non si trasformino in un disagio conclamato e in un agito più o meno drammatico». L’abbraccio dei genitori fa sentire Riley compresa nel suo dolore. Quella che segue è una frase sempre di Lancini che a Il caffè dei genitori pensiamo andrebbe appesa sul frigo: «Proteggerli e proteggersi dal dolore è molto diverso dal chiedergli e dal chiedersi di non provarlo». Ecco allora che ancora una volta non si tratta di fare, ma di stare. Di esserci davvero. E di essere adulti capaci di reggere l’urto delle loro emozioni. Anche quando fanno male.