Condividiamo l’intervista di Francesca Delvecchio a Matteo Lancini per La Stampa.
Sono reduce dall’audizione in Senato sulla “tutela dei minori nella dimensione digitale”. È un fenomeno complesso e non sono tranquillo a proposito delle sue conseguenze nel lungo periodo ma inquadrarlo è difficile perché recentissimo». Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta e presidente della Fondazione Minotauro non vuole essere catastrofista sul tema dei cosiddetti baby influencer. Piuttosto, l’obiettivo è quello di inquadrare le responsabilità degli adulti nei loro confronti.
Cosa ha proposto in audizione?
«Di vietare fotografie e riprese ai minori da 0 a 13 anni nelle scuole da parte di genitori o insegnanti».
Ma il ministro Valditara dice che il telefonino va vietato agli studenti…
«Il problema è che se non cambia la gestione adulta – prendiamo ad esempio la pubblicazione della pagella scolastica su Instagram o il video del saggio di danza – certi fenomeni non cambieranno».
Questo che c’entra con i baby influencer?
«Non c’è più un confine tra esperienza intima e pubblica: è l’onlife. Per questo l’esposizione dei minori è un tema che richiede una regolamentazione: ci troviamo davanti a quella che chiamiamo pornografizzazione»
Che adulti saranno questi “enfant prodige”?
«Difficile da dire. L’esposizione mediatica di oggi è una versione aggiornata di quella artistico-sportiva di una volta: lo Zecchino d’oro o i giovani calciatori e tennisti. Magari, in futuro l’aver avuto successo da piccoli potrà influire positiva- mente sull’autostima. Ma al tempo stesso il rischio che la perdita di successo si trasformi in delusione è alto».
Molti di loro guadagnano più dei genitori. Questo non sbilancia il rapporto? «Sicuramente la dinamica educativa ne risente. Ma qui entriamo anche in un altro aspetto della faccenda: quello economico. Uno dei punti di cui si discute nella stesura della legge a tutela dei minori è proprio il vincolo sui compensi, che dovrebbero restare congelati fino alla loro maggiore età».
È una soluzione? «Sicuramente è un argine all’adattamento dei figli alle necessità dei genitori e di ieri e riporta al quesito principale: che ruolo hanno nella loro crescita. Se l’obiettivo è quello di tutelarli, allora va cambiato l’approccio da parte degli adulti».