“Smartphone e adolescenti, come uscire dal loop digitale: la sfida educativa e i Millennial che danno speranze” Laura Turuani sul Corriere della Sera

Condividiamo l’articolo di Cristina Marrone per il Corriere della Sera con intervista a Laura Turuani.

Smartphone e adolescenti, come uscire dal loop digitale: la sfida educativa e i Millennial che danno speranze

di Cristina Marrone

La psicologa Turuani: «Troppo spesso il cellulare è usato come “ciuccio digitale”: ma è incoerente imporre divieti e controlli quando i ragazzi diventano grandi. Se gli adulti per primi non riescono a staccarsi dal telefono, come possono pretendere che lo facciano i giovani?»»

I timori sui rischi per la salute mentale degli adolescenti e la loro capacità di attenzione a causa dell’abuso nell’uso dello smartphone si sono trasformati in una valanga di divieti voluti da genitori e politici di tutto il mondo. Solo pochi giorni fa  la premier danese  Mette Frederiksen ha annunciato l’intenzione di vietare l’uso dei social media per i minori di 15 anni. Lo stesso ha fatto la vicina Norvegia, che un anno fa ha dichiarato di voler portare l’età per registrarsi ai social da 13 a 15 anni. L’Australia nel 2024 ha approvato una legge che prevede il divieto di iscrizione ai social per i minori di 16 anni anche se le modalità non sono state ancora chiarite. E poi sono in corso ondate di divieti all’uso dei telefoni nelle scuole, Italia compresa. Il dito è puntato soprattutto su TikTok perché, come scrive Riccardo Luna, è il senso del tempo che sembra sparire quando sei in quella app. governata da un sofisticato argoritmo di intelligenza artificiale che mostra quello che ti piace davvero.

La sfida educativa

Ma a ricordarci che nessun divieto può sostituire la coerenza educativa è Laura Turuani, psicologa e psicoterapeuta dell’Istituto Minotauro di Milano, esperta di adolescenti e dinamiche familiari. «Se gli adulti per primi non riescono a staccarsi dal telefono, come possono pretendere che lo facciano i ragazzi?» osserva Turuani. «L’educazione passa attraverso la coerenza, la prevedibilità e la capacità di dare l’esempio. I divieti, da soli, rischiano solo di alimentare opposizione o senso di colpa».

Secondo la psicologa l’errore più comune è usare lo smartphone come «ciuccio digitale» da piccolissimi, come «baby sitter» da bambini per poi imporre, in modo totalmente incoerente, i divieti e il controllo una volta che quei bambini diventano adolescenti. «Molti genitori danno ai figli il telefono troppo presto, per tranquillizzarli o per tenerli occupati. Ma così non li aiutano a tollerare la noia o la frustrazione, che sono competenze fondamentali per crescere. Abbiamo un problema che ci sta arrivando addosso come uno tsunami, con bambini non abituati all’autoregolamentazione» avverte la psicologa, che sottolinea come «vietare sia più facile che educare».

Lo scrolling compulsivo e il paradosso dei social

A scuola ci sono dei limiti imposti, ma quando gli studenti tornano a casa? Lo scrolling compulsivo non si ferma e l’uso di queste piattaforme è particolarmente elevato nelle ore notturne. Inoltre, una volta diplomati, questi ragazzi entreranno nel mondo del lavoro o in università e nessuno sequestrerà loro il telefono.

Che cosa si può fare? In un saggio pubblicato sul Wall Street Journal, Leonardo Bursztyn professore di Economia presso la Saieh Family University dell’Università di Chicago e Cass R. Sunstein,  professore presso la Robert Walmsley University di Harvard raccontano quello che è emerso da una loro indagine sugli utenti dei social media.  «Abbiamo scoperto – scrivono – che la maggior parte delle persone vive sentimenti contradditori: vorrebbero utilizzare i social media in autonomia, ma sarebbero anche felici che queste piattaforme venissero eliminate dalla comunità». Ma che significa? Lo spiega il loro sondaggio. I due ricercatori hanno chiesto agli utenti di Instagram e TikTok  quanti soldi vorrebbero per disattivare le piattaforme social per un mese. La risposta degli studenti universitari è stata 50 dollari in media, cifra consistente. Ma il paradosso è stato che gli stessi studenti hanno ammesso che pagherebbero in media 24 dollari per far disattivare TikTok ai loro coetanei e 6 dollari per farli cancellare da Instagram. «Sembra che anche i giovani utilizzatori dei social media pensino che il loro mondo sarebbe migliore senza» concludono. L’evidenza è in linea con quanto emerso da un’altra ricerca condotta dal British Standards Institution sulla fascia 16-21. Come ha scritto Federico Cella la metà dei giovani inglesi vorrebbe tornare a un mondo senza Internet: il 70% ammette di sentirsi peggio dopo aver usato i social e la metà di loro auspica «coprifuoco imposti».

 Per i ricercatori  americani Bursztyn e Sunstein la radice di questi comportamenti, è da cercare nella paura di perdersi qualcosa, quella che viene definita come FOMO. Se sanno che i loro amici sono sui social media, vogliono esserci anche loro, pur desiderando allo stesso tempo trovare una via d’uscita.

Generazioni più consapevoli: il ruolo dei Millennial

Ma secodo la psicoterapeuta Laura Turuani, nonostante le preoccupazioni, ci sono segnali incoraggianti e le cose stanno in realtà cambiando.  «Gli adolescenti di oggi sono molto più consapevoli di quanto immaginiamo e desiderano equilibrio. Sono molto più bravi di noi ad autolimitarsi: in moltissimi, per non essere travolti dalle notifiche o dalla curiosità per i social, quando hanno bisogno di concentrarsi inseriscono sul telefono la modalità notturna o silenziosa, inseriscono limiti alle app e lasciano il telefono fuori dalla stanza».

Turuani ritiene che proprio la generazione Millennial (i nati tra il 1981 e il 1996) possa avere un ruolo decisivo nell’educazione dei figli: «Sono cresciuti con internet e con la tecnologia digitale, sono stati messi alla prova, hanno vissuto il panico, le ansie e le angosce, hanno conosciuto opportunità e rischi, per questo sapranno educare meglio i loro figli al digitale rispetto alla generazione X (i nati tra il 1965 e il 1980) che è stata travolta dalla rivoluzione digitale, ha commesso errori perché c’era meno conoscenza e meno consapevolezza su queste tematiche».

L’ansia verso la tecnologia può diventare il motore per una trasformazione positiva

La crescente conspevolezza delle problematiche causate dall’uso eccessivo dei social media rappresenta anche per i due i ricercatori americani una straordinaria opportunità per l’azione collettiva. «L’uso dei social media – scrivono – è governato dalle norme del gruppo di pari, che possono cambiare, talvolta molto rapidamente. Decenni fa, ad esempio, chi allacciava le cinture di sicurezza era percepito come pauroso. Ma nuove leggi e campagne di informazione pubblica hanno modificato quelle norme, rendendo l’uso della cintura un gesto di routine». L’ansia collettiva verso la tecnologia può diventare il motore di una trasformazione positiva. Non è mai il mezzo in sé il problema (grazie allo smartphone si possono imparare più facilmente lingue straniere o rendere materie di studio ostiche più semplici con video divulgativi), ma il modo in cui lo usiamo e il significato che gli attribuiamo. «Se come comunità impariamo a dare valore al tempo disconnesso e considerare normale lo stare senza smartphone, allora le generazioni più giovani cresceranno in un contesto più sano e il cambiamento arriverà da sé» conclude Turuani.  Alla fine è una questione di cultura e non solo di regole.