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Condividiamo l’intervista a Matteo Lancini per Il Giornale di Brescia.

Non il desiderio di trasgredire, ma la voglia di anestetizzarsi. Non il culto del piacere in sé, ma l’obbligo di piacere. A parlarci del rapporto degli adolescenti con alcol, droga e sesso, con l’avvertenza di non generalizzare, è Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta, presidente della Fondazione “Minotauro» e docente all’Università Bicocca e in Cattolica.

Il comune denominatore delle vicende che raccontiamo in queste pagine è l’abuso di alcol e droghe. Che rapporto hanno i ragazzi con le sostanze?

«Il loro consumo ha perso tutta la valenza trasgressiva e oppositiva che aveva in passato. La trasgressione non è più il motore dei comportamenti adolescenziali. I consumi fino a perdere il controllo, che sono quantitativamente gli stessi di anni fa, sono legati più alla necessità di anestetizzare la noia, la tristezza.

E con la sessualità che rapporto c’è?

«Anche in questo caso non c’è desiderio motivato dalla trasgressione. Il sesso nei ragazzi non è legato al corpo erotico, ma al corpo estetico. Per le ragazze con le quali parlo, il sesso si fa, si sperimenta una volta, dopo di che sembra essere più importante vivere nella testa delle persone. Della sessualità dei ragazzi nessuno si preoccupa. E non si preoccupano nemmeno loro. La nostra è una società che ha meno paura del sesso, che produce molti più contenuti pornografici e molto più fruibili. Questa generazione di adolescenti è inoltre la prima a crescere con l’idea che si possano avere dei figli anche senza l’atto sessuale. Il sesso non è più un tema».

Come si spiega quindi l’imbarazzo davanti ai genitori che sarebbe all’origine di numerose denunce?

«Non si tratta di imbarazzo o vergogna a parlare di sesso, ma di angoscia di deludere il papà o la mamma. Quando i ragazzi oggi non raccontano la verità ai loro genitori non è perché li temono o temono le loro reazioni, ma perché hanno l’ansia di tradire le loro aspettative».

Si crea un corto circuito. Come se ne esce? Come devono comportarsi i padri e le madri. E più in generale la società?

«Occorre ascoltare quello che i ragazzi hanno da dire: il senso di inciampo, la delusione, la tristezza. Invece ci limitiamo a cercare le formule del genitore perfetto da applicare con tutti i figli, o cavolate del tipo spegniamo i cellulari a tavola così dialoghiamo. Bisogna creare un contesto nel quale i ragazzi riescano a parlare delle loro incertezze. Oggi invece li ascoltiamo solo a patto che ci dicano quello che vogliamo sentirci dire da loro. Così si ritrovano soli a gestirsi il loro senso di fallimento o a farlo attraverso comportamenti che anestetizzino il dolore che provano.